
Primarie: “Ma sarà necessario modificare anche i nostri statuti”

01 Marzo 2012
«Tra la Puglia e le primarie c’è un feeling particolare: hanno cambiato la storia della sinistra e rischiano di cambiare quella del centrodestra. Quello che si è visto domenica scorsa è l’anticipo di una nuova stagione». Gaetano Quagliariello, presidente vicario del gruppo Pdl al Senato, è il padre di una proposta di regolamentazione delle primarie.
Senatore, nel Pdl si è aperta una stagione nuova.
«Io credo che questo, nel centrodestra, sia legato al ruolo di Berlusconi. Berlusconi leader indiscusso e in campo era un elemento che strutturava il sistema politico (fra berlusconiani e antiberlusconiani) e nel centrodestra assegnava dei ruoli in relazione al rapporto con il leader. Berlusconi ha deciso di avere un ruolo diverso, questo da una parte mette il sistema alla ricerca di un nuovo centro di gravità e dall’altra mette in dubbio la certezza dei vecchi ruoli nel centrodestra».
Domenica cosa è accaduto?
«Che 17mila persone votano a Lecce ed eleggono il candidato di partito, 9mila persone votano a Trani ed eleggono l’outsider, 10mila persone si recano a votare a Bari a un congresso, percorrendo anche 150 km, e danno vita ad una dialettica interna inedita. Tutto questo non si era mai visto e passa attraverso una volontà di intervento diretto. Per la vita dei partiti tutto questo è regolato, per le primarie c’è solo un regolamento interno, ma è uno strumento transitorio che sarebbe meglio strutturare. Io ho presentato una proposta in Parlamento».
Di che si tratta?
«E’ stata firmata da tutto il gruppo e si basa sul principio del "registro". E’ un sistema americano: non votano solo gli iscritti ma anche i simpatizzanti che, magari anche con strumenti informatici, si iscrivono in un apposito "registro". Questo fa venir meno, o lo attenua, il rischio che possano votare persone di altri partiti per un candidato più debole e farlo prevalere».
Ci sono altre proposte e quando verranno discusse?
«Sì. E c’è all’ordine del giorno la discussione da una parte della legge elettorale e dall’altra della riforma dell’articolo 49, lo statuto dei partiti. E’ paradossale, ma i partiti sono ancora considerati associazioni private, roba da guerra fredda. Occorre una regolamentazione che ne cambi lo stato giuridico, la democrazia interna e la trasparenza dei bilanci. La regolamentazione delle primarie può collocarsi in questo contesto: non è detto che debbano essere obbligatorie, ma se si fanno, bisogna darsi delle regole».
Avete tenuto primarie e congressi. La ratifica di maggioranze e minoranze non ha rafforzato Fitto?
«Quando il meccanismo carismatico garantiva una proiezione del partito all’esterno, non c’era bisogno di una vita interna. Ora siamo in una fase diversa, serve che il partito sia più aperto e radicato per poter pesare in termini assoluti e per avere la garanzia di pesare in quella trasformazione del mondo moderato in atto. Questo si può raggiungere o attraverso aperture della classe dirigente o con la composizione di maggioranze e minoranze. Non vuol dire, però, costituire partito e contropartito. Finiti i congressi, si lavora insieme. Io credo che i veri processi di accordo o di disaccordo nel PdL non si sono giocati nei congressi ma saranno determinati dai processi di ristrutturazione dell’area moderata. Un grande partito dei moderati? O un’alleanza con alcune forze di centro? Lo dimostra il dialogo del tutto inedito di Fitto e Poli, a Lecce. E su questo che si determineranno schieramenti più che nei congressi».
E sul peso specifico degli schieramenti?
«Io ho solo chiesto di poter essere presente all’interno della configurazione di una classe dirigente e penso di avere tutte le carte in regola per storia personale, per il lavoro svolto nel partito e per impegno sul territorio. Non perchè ho un trullo in Valle d’Itria, come qualcuno ha insinuato. Mi sarei accontentato di una rappresentanza del 25%, non sono un ragioniere dei numeri, mi è stato detto che tutto andava determinato nelle urne. Con umiltà e pazienza ho seguito questa strada e mi sembra di aver dimostrato che la richiesta non era infondata: 37,5% al congresso provinciale e 33,3% al cittadino».
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)