Al G20 l’Ue salva le banche europee mentre l’Italia rilancia sulla crescita
26 Settembre 2011
di Andrea Doria
Tremila miliardi per salvare l’euro: ecco il ‘nuovo’ piano su cui stanno lavorando i ministri delle finanze dei paesi del G20 per rifoggiare lo European Financial Stability Fund, EFSF (il fondo salvataggi europeo), in vista di un default della Greci, secondo i più, da attendersi i primi di novembre. Il piano si svilupperebbe attorno a tre assi: la ricapitalizzazione delle banche europee vulnerabili (principalmente francesi e tedesche), l’innalzamento della dotazione dello EFSF da 440 miliardi alzato fino a tremila miliardi e infine, il default pilotato della Grecia, concedendo al paese di restare all’interno della Eurozona. Queste almeno le informazioni divulgate dal giornale britannico, Sunday Times.
Se l’aumento della dotazione dello EFSF e la ricapitalizzazione di certe banche appare più che plausibile (non si dimentichi che alcune banche francesi e tedesche sono tra le più esposte sui titoli di debito greci), nessuno sembra disponibile a scommettere che un default greco evento sia ‘inevitabile’. Tutt’altro. Ieri la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato in tv che il fallimento della Grecia “distruggerebbe la fiducia degli investitori nell’Eurozona”. Parole che fanno eco a quelle pronunciate dal ministro delle finanze greco, Evangelos Venizelos che parlando da Washington ha affermato che la Grecia “farà qualunque cosa sarà necessario” per centrare gli obiettivi che sono stati fissati ed “è pronta a prendere le iniziative opportune qualunque sia il costo politico”.
La ricapitalizzazione delle banche in difficoltà avverrebbe di fatto con i nuovi fondi messi a disposizione dello EFSF. Il resto del ‘gruzzolo’ rimarrebbe dentro il fondo europeo in attesa di un secondo piano – che sarebbe in arrivo – votato ad affrontare i problemi di Grecia, Portogallo e Irlanda, evitando il rischio contagio sull’Italia e la Spagna. Insomma l’Europa scommette ancora nella spesa e si piega al principio del ‘too big to fail’, troppo grandi per fallire, cercando di proteggere e di salvare gli istituti franco-tedeschi giustificando il gesto con rischi sistemici. L’Occidente è appena entrato in recessione e l’Europa che fa? Invece di tagliare la spesa – e a fronte di ciò abbassare debito e tasse, e così facendo dare alla crescita economica la possibilità di manifestarsi – si mette a salvare e a spendere.
Quanto all’Italia, da un paio di giorni, il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, si rincorrono dicendo che oggi, dopo la mega-manovra d’austerità degli ultimi mesi, è giunto il momento della crescita. Proprio il premier Silvio Berlusconi, intervenuto ieri per telefono alla festa del Pdl di Bisceglie, ha dichiarato che “in settimana usciremo con le misure per la crescita e lo sviluppo: dalle dismissioni del patrimonio pubblico alle privatizzazioni e allo sblocco delle grandi opere”. Il premier ha inoltre aggiunto che “è molto difficile mettere misure di sviluppo in una manovra che deve tagliare 54 miliardi, eppure siamo riusciti anche in questo: proprio oggi pomeriggio ho contato che ci sono 27 misure per la crescita dell’economia e per la crescita dell’Italia”.
Il banco di prova è significativo. E’ veramente l’ultima possibilità del governo Pdl-Lega. Rimangono infatti incompiute, o su un binario morto, Tante questioni che avevano condotto l’attuale governo a riconquistare il governo del paese nel 2008. Le liberalizzazioni: secondo l’Istituto Bruno Leoni l’Italia è al 49% di apertura del mercato). Energia: il piano energetico nazionale non è stato mai varato e la sconfitta nel referendum di ritorno al nucleare ha inabissato nuovamente la questione. Grandi opere: gli stanziamenti in grandi opere sono scese drammaticamente negli ultimi anni, passando dai 33,9 miliardi di euro del 2004 ai 23,1 miliardi del 2011. Esistono ancora dei forti rallentamenti nell’erogazione dei fondi stanziati dal ministero dell’economia. Edilizia: il piano casa avrebbe dovuto costituire un potenziale volano di crescita economica di 60 miliardi di euro, rimasto del tutto inespresso. La resistenza degli enti locali e il mancato snellimento delle norme ha vanificato l’obiettivo del piano.