Hollande presenta i suoi “60 impegni” ma di nuovo c’è molto poco

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Hollande presenta i suoi “60 impegni” ma di nuovo c’è molto poco

28 Gennaio 2012

Non vi sono più dubbi: quel che si sta stagliando all’orizzonte politico delle presidenziali francesi è la tempesta perfetta. Perché se quel teddy bear di François Hollande (è un po’ dimagrito ma rimarrà sempre l’uomo orsacchiotto con il doppio mento ) dovesse riuscire a spuntarla contro Nicolas Sarkozy alle elezioni dell’Aprile prossimo, evento molto probabile secondo i sondaggi, la Francia rischia di precipitare ancor di più in un abisso di statalismo ideologico, conformista e anti-religioso, tanto da rendere preoccupante il futuro della convivenza europea.  Ancora di più se Pierluigi Bersani, che lo scorso mese ha ospitato il candidato socialista al Tempio d’Adriano a Roma, dovesse prendere le mosse dal socialista d’oltralpe.

Lo scorso 26 Gennaio Hollande ha presentato i suoi “sessanta impegni per la Francia”, un programma snello, con il quale il socialista intende riconquistare l’Eliseo dopo diciassette anni di dominio RPR-UMP sulla politica esecutiva francese (coabitazione 1997-2002 tra Jospin primo ministro e Chirac presidente a parte). A parte l’adagio un po’ tardo obamiano del “changement”, il cambiamento, e all’exception française ( che fa molto American exceptionalism senza gli attributi liberali però) il programma di Hollande è interventismo statale allo stato puro. Il candidato socialista si è impegnato a creare una banca pubblica d’investimento con i fondi regionali a sostegno delle PMI con un occhio all’economia “social et solidaire” (qualcuno ci spieghi che cosa vuole dire, per favore). Incentivi alle imprese che producono in Francia e che non delocalizzano e che fanno produzione export-oriented.

E ancora difesa del colbertismo più franco-francese con la difesa dello statuto pubblico d’imprese di Stato come EDF, SNCF, La Poste (a livello centrale lo Stato francese controlla ancora un numero cospicuo d’imprese attraverso l’Agence des partecipations de l’Etat). Segue il divieto alle banche di andare nei paradisi fiscali. E poi riforma delle pensioni, modello concertativo centralizzato nelle relazioni del lavoro; la creazione di un’aliquota additiva del 45% per redditi superiori ai 150,000 euro annui; una legge per i matrimoni omosessuali con possibilità d’adozione; un po’ d’anti politica con la diminuzione del 30% della remunerazione del presidente della Repubblica; e poi accento su scuola, pensioni e artisti. C’è anche una chiusura su ritiro definitivo dall’Afghanistan – il colpo al cerchio – ma con investimenti forti di difesa nazionale – il colpo alla botte.

Unico spunto è l’impegno a rinegoziare il fiscal compact, deciso in lo scorso 9 Dicembre 2011, in fase di negoziazione e che sarà implementato al più tardi entro il prossimo Marzo 2012, poco più di un mese prima delle presidenziali francesi. Qualunque sia l’effettivo peso delle promesse elettorali di Hollande (e quello di qualsiasi promessa in generale), quel che è evidente è che l’emergere di François Hollande a candidato favorito per la presidenza francese è certo il riflesso delle promesse mancate della speranza tradita dal sarkozismo, ma è anche e forse di più diretta conseguenza della fine di un ciclo politico nazionalista e statalista della Francia post o tardo gollista. Benché si abbia la sensazione di fare un gran torto a quel progressista arcigno che fu Franklin D. Roosevelt, dopo di lui venne Harry Truman, altro Democratico. Ma dopo quest’ultimo non andò  di certo un altro Democratico alla Casa Bianca, bensì un Repubblicano, Dwight Eisenhower.

Come allora anche oggi in Francia, una nazione con un’articolazione del potere centrale non troppo diversa da quella statunitense (almeno nella sua componente esecutiva), dopo diciassette anni di post-gollismo, non sorprende che un cambio dell’umore dell’elettorato porti un socialista all’Eliseo, benché ciò avvenga con un programma apparentemente mediocre e ideologico come quello annunziato l’altro ieri. C’est la vie (politique)!