E’ l’Iran che tira le fila delle violenze tra Israele e le milizie di Gaza
12 Marzo 2012
di Andrea Doria
La spirale di scontri tra i miliziani islamisti della Striscia di Gaza e le forze israeliane che ha contrassegnato il fine settimana, segna una nuova escalation nelle tensioni della regione mediorientale. Di scontri del genere tra le forze israeliane e quelle della Striscia non se ne vedevano da sei mesi. Il casus belli, quello di cui la stampa occidentale dà conto, è il lancio di due missili provenienti dalla Striscia di Gaza nella notte di Venerdì 9 Marzo, al quale ha fatto seguito la risposta dell’IDF, l’esercito israeliano. Le varie rappresaglie israeliane avrebbe causato la morte di Zuheir al-Qaisi (nom de guerre Abu Ibrahim), uno dei leader dei ‘Comitati di resistenza popolari’ di Gaza e mente degli attentati terroristici – che aveva causato la morte di 8 israeliani – di Eilat e del deserto del Negev dello scorso Agosto 2011.
Riportando fonti dell’esercito israeliano, dalle colonne del giornale israeliano ‘Yedioth Ahronoth’ emerge che al-Qaisi stesse pianificando un attentato maggiore sul confine israelo-egiziano del Sinai. La sua uccisione avrebbe avuto l’obiettivo di sradicare la possibilità che tale piano terroristico – secondo le indiscrezioni nella sua fase d’implementazione finale – potesse effettivamente essere portato a termine. Dall’inizio delle ostilità tra esercito israeliano e milizie di Gaza, in tutto 200 missili sono stati lanciati sul territorio israeliano (colpite le comunità di Beersheba, Ashkelon, Kiryat Malachi, Netivot, Ofakim, Gan Yavneh, Kfar Azza, Gedera e i villaggi di Eshkol e Shear Hanegev) e vi sarebbero state, secondo gli ultimi dispacci d’agenzia disponibili, all’incirca 23 morti tra i gaziani colpiti dalle rappresaglie israeliane, tra cui, a quanto riportato, un minore e un anziano.
Le morti di civili palestinesi in questo genere di scontri, oltre ad essere terribilmente frequente, spesso è indotta dal cinico calcolo politico dei politici di Hamas nella Striscia i quali, in violazione di tutte le norme internazionali attualmente vigenti di ius in bello, accettano e spesso incoraggiano, vuoi per ragioni tattiche, vuoi per calcoli mediatici internazionali, che i razzi Kassam e Grad che da Gaza vengono lanciati verso Israele, siano esplosi in prossimità di – se non da – abitazioni civili. Ciò nelle speranza di fare dei civili di Gaza degli scudi umani. Congetture si dirà. Certo, ma non sarebbe la prima volta che le dirigenze palestinesi fanno ‘sfoggio’ di tanto cinismo.
A parte le eliminazioni ‘pesanti’ di al-Qaisi e quella di Muhamad Ahmad al-Hanani, uno dei terroristi palestinesi rilasciati nello scambio per il rilascio di Gilad Shalit e ucciso nell’attacco al veicolo che ha causato la morte proprio di al-Qaisi, i lanci dei razzi da Gaza – compresi i primi due lanciati verso Israele e che hanno costituito il casus belli – sono stati rivendicati principalmente dalla ‘Jihad islamica’, un gruppo combattente di connotazione islamista che opera nella Striscia di Gaza, da molti considerato una diretta emanazione terroristica del regime iraniano degli ayatollah.
Ora, se a prima vista tale recrudescenza tra Israele e il governo di Gaza sembrerebbe inquadrarsi nel solito uso della violenza politica da parte di Hamas per uscire una volta dall’angolo per pressioni economiche e sociali interne alla Striscia, a volte per dialogare con i fratelli-coltelli di al-Fatah, altre per chiedere aiuto politici ai propri alleati nella regione mediorientale – questa volta potrebbe trattarsi invece di un’azione orchestrata dal regime di Teheran sotto pressione dopo la stretta delle sanzioni economiche e politiche degli ultimi mesi. Un’influenza, quella dell’Iran nella Striscia, che assieme ai buoni rapporti con la milizia terrorista Hezbollah in Libano, potrebbero rivelare un piano iraniano per destabilizzare Israele proprio in una fase in cui Gerusalemme valuta un attacco preventivo agli impianti nucleari iraniani. Non si trascuri neppure il viaggio di un mese fa di Ismail Haniyeh, il primo ministro di Hamas a Gaza, in Iran.
Le dichiarazioni del vecchio leader di Hamas da Il Cairo, Mahmoud Zahar – il quale ha affermato “di aspettarsi un cessate-il-fuoco al più presto” – in questo senso potrebbero voler dire varie cose. Da una parte potrebbero voler dire che Hamas stia tentando di affermarsi nel ruolo di ‘honest broker’ facendo fare la parte dei giovani scalmanati ai gruppi jihadisti nella Striscia (sa tanto di maoismo allo stato puro, ma tant’è); oppure potrebbe appunto confermare che Hamas non sia affatto in controllo tanto dei Comitati di resistenza popolare quanto della Jihad islamica. Una lettura da preferire quest’ultima visto il processo di negoziazione in corso tra la leadership di Hamas e quella di al-Fatah per la costituzione di un governo di unità nazionale che ben facilmente potrebbe essere minato, è proprio il caso di dire, da un’eventuale escalation militare tra Gerusalemme e Gaza City.
Mentre il governo cinese – la stessa Cina tanto rispettosa dei diritti umani in Tibet e in Xinjiang – chiede a Israele d’interrompere gli attacchi su Gaza (chissà come nel conflitto che oppone lo Stato d’Israele alle leadership militari e civili palestinesi, tutti, ma proprio tutti, lindi e puzzoni, si sentono in diritto di criticare, mettere becco, dire la loro), il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha voluto smascherare il gioco dell’Iran dichiarando che “se non fosse per l’Iran, questi estremisti [della Jihad islamica] non avrebbero armi, addestramento e supporto logistico”. Al premier, ha fatto eco il ministro degli esteri, Avigdor Lieberman il quale ha escluso – alla luce degli eventi degli ultimi giorni – la possibilità di creare un corridoio tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania alla luce degli scontri di oggi.