In Giordania Abdullah II mette fuori gioco la Fratellanza ma non basterà
21 Aprile 2012
Sembra che le rivolte arabe stiano portando qualche risultato positivo, almeno in Giordania. Il governo di Amman lo fa bandendo i principali sobillatori e fautori delle proteste iniziate il 14 Gennaio 2011. In campo i Fratelli musulmani. Il Parlamento ha infatti approvato una legge per estromettere l’Islamic Action Front (IAF), il braccio politico del movimento integralista nel Regno hascemita, movimento che peraltro è il più forte partito di opposizione al Governo.
Il provvedimento è passato alla Camera bassa il 16 Aprile scorso con 46 voti favorevoli su 83 e sarà approvato dalla cosiddetta ‘Assemblea dei Notabili’. Tale provvedimento legislativo impedisce al IAF di presentarsi alle prossime elezioni parlamentari, ma anche di creare qualsiasi gruppo o partito politico con base religiosa e etnica. La proposta è di Mamdouh Abbadi, vicepresidente della Camera bassa, e rientra nel pacchetto di riforme elettorali decise per contrastare le proteste delle rivolte giordana.
C’è da dire che per il momento le proteste non hanno assunto l’obiettivo politico d’eliminare fisicamente il capo di Stato (che peraltro è discendente di Maometto). Anche per questo motivo non si sono avuti particolari interventi repressivi da parte di polizia ed esercito. Il problema vero è che sul Governo giordano pendono da tempo pesanti accuse di corruzione, tanto che Re Abdallah II ha dovuto cambiare due volte Primo ministro: nel Febbraio 2011 è toccato a Samir Rifai, che ha rassegnato le dimissioni, poi è stata la volta di Marouf Bakhit, già premier nel 2005, che si è dimesso il 17 Ottobre scorso.
Ora occupa la carica Awn Shawkat Al-Khasawneh, giudice ed ex-vice-presidente della Corte internazionale di giustizia. Vi è scontento nella popolazione a causa dell’aumento dei prezzi sui beni di prima necessità, per l’aumento della disoccupazione (che ha raggiunto il picco nella storia della Giordania) e della povertà (dovuto soprattutto al calo della domanda statunitensi di beni prodotti in Giordani, oltre ad una diminuzione dei capitali esteri dall’opulento Golfo Persico).
Interessante notare che nelle piazze giordane, oltre ai Fratelli musulmani, non sono stati i ceti meno abbienti a mobilitarsi, bensì è sceso il ceto medio urbano. Oltre che per il peggioramento delle condizioni economiche, la popolazione è delusa per il sostanziale brusco arresto o comunque per il netto rallentamento del processo di democratizzazione del Paese (ufficialmente per motivi di sicurezza dopo l’11 Settembre) avviato da Re Hussein, padre di Abdallah II. Il compianto sovrano era stato convinto da proteste popolari nel 1989 a intraprendere un cauto programma di riforme.
In questi anni invece sono state decise diverse sospensioni dell’attività parlamentare e hanno ricoperto un ruolo sempre maggiore i servizi segreti, organizzati nel General Intelligence Department (GID). Ciò ha finito per ridurre i già esigui margini di libertà individuale offerta al popolo giordano. Non a caso, una delle richieste che vengono formulate dalla ‘piazza’ è una riduzione dei poteri del GID , oltre alla formazione di un governo d’unità nazionale, un ridimensionamento delle funzioni delle cariche pubbliche da parte di Re Abdallah II, ma soprattutto la modifica del sistema elettorale, specchio della difficile convivenza tra i giordani doc di origine beduina (come la famiglia reale) e i giordani di origine palestinese, che costituiscono la maggioranza della popolazione (ad essi appartiene anche la regina Rania).
Il disegno del sistema elettorale è alla base del sistema di potere di cui gode la dinastia hascemita. E’ un sistema “one-person-one-vote”, che vede sottorappresentato proprio quel ceto medio dei centri urbani che esce dall’uscio e protesta (e del quale fanno parte i giordano-palestinesi), mentre favorisce i legami con le tribù beduine fedeli alla famiglia reale. Inoltre i giordano-palestinesi non sono stati del tutto coinvolti nelle attività politiche del Paese: un esempio su tutti l’esclusione dai vertici militari e di sicurezza. Si aggiunga il fatto che tra il 2004 e il 2009 numerose famiglie palestinesi sono state private della cittadinanza giordana in nome del “diritto al ritorno”, usato da sempre contro Israele. Un gesto di una certo peso, soprattutto se si considera che la regina stessa ha origini palestinesi.
Non si dimentiche che Rania di Giordania, proprio per le sue origini, è stata in passato contestata da diversi capi beduini. La accusano di corruzione ( per esempio di aver speso una marea di denaro, nonostante la grave situazione economica, per la sontuosa festa nel Wadi Rum per i suoi 40 anni) ed anche la sua famiglia. Da islamici conservatori, i vertici maschili delle tribù beduine rimproverano alla regina Rania di vestirsi troppo all’occidentale (tanto che, per placare le proteste, ella si è mostrata negli ultimi tempi in abiti più sobri e tradizionali) e l’accusano anche di avere un eccessivo peso politico. Il che è esattamente ciò che l’ha fatta tanto amare in Occidente e soprattutto in Italia (per il suo impegno umanitario internazionale, la sovrana è stata definita sul web “il volto pulito di una monarchia dura”).
Un atteggiamento quello dei vertici beduini diretto forse contro la Regina, perché Re intenda. In conclusione, la recente estromissione della branca partitica dei Fratelli musulmani dal Parlamento giorfano, da una lato conferma gli sforzi che la monarchia sta hascemita sta compiendo per mantenere il paese mediorientale dentro una cornice occidentale e islamo-riformatrice, ma crea anche preoccupazione visto che gli integralisti islamici della branca giordana della Fratellanza continueranno a influenzare ideologicamente la società ancor più di prima, speculando sulle giuste aspettative del ceto medio urbano e sulle difficoltà economiche dei ceti bassi e medio-bassi.