Senza Shenouda III i copti egiziani restano senza guida nell’ora peggiore
24 Marzo 2012
Lo scorso Mercoledì 21 Marzo, decine di migliaia di persone hanno dato l’addio al papa ortodosso egiziano Shenouda III, morto a 88 anni dopo una luna malattia Sabato 17 Marzo. I funerali si sono tenuti nella Cattedrale di San Marco (Abbasiya Cathedral) al Cairo e, per volontà dello stesso Shenouda, il suo corpo è stato sepolto al Monastero di San Bishoy, nel deserto al di fuori della capitale egiziana (Wadi Natrun), dove il pontefice ortodosso era stato mandato in esilio da Anwar Sadat nel 1981 (venne fatto tornare da Hosni Mubarak nel 1985).
Con la sua scomparsa, i copti egiziani perdono colui che è stato la loro guida per 41 anni, questo in un momento di profonda incertezza politica e di crescenti discriminazioni nei confronti dei veri autoctoni dell’Egitto, oggi minoranze – ufficialmente circa il 10% della popolazione. I superstiziosi potrebbero pensare ad un funesto segno divino.
E’pur vero che anche alcuni musulmani (a parole persino degli esponenti dei Fratelli musulmani di Al-Azhar) piangono Shenouda III, visto un po’ come un patriottico simbolo di unità nazionale dell’Egitto. Uno degli ultimi. Ciò è ancor più vero se si considera che dalla cacciata del presidente Mubarak nel Febbraio del 2011, i copti egiziani sono stati praticamente estromessi dalla vita politica del Paese. Inoltre il 75% del nuovo Parlamento egiziano è occupato da estremisti islamici: Fratelli musulmani e i salafiti.
Le prospettive non sono buone. Lo dimostra anche il fatto che, dalla rivoluzione dell’ultimo anno, sono morti numerosi cristiani egiziani nelle varie ondate di scontri inter-religiosi. I musulmani ultra conservatori guardano alla relativa tutela che hanno goduto i cristiani finora come a un “privilegio dello Stato”, ha osservato qualche analista. “Privilegio” che non sarà più garantito, come si è visto anche Domenica scorsa, quando decine di parlamentari salafiti si sono rifiutati di osservare il minuto di silenzio in memoria di Shenouda III, perché questo “non è previsto dall’islam”.
Altro indicatore del peggioramento della situazione dei copti in Egitto è che solo due di essi sono stati eletti al Parlamento e prima dell’insediamento del Consiglio militare. Questo anche perché, per molti egiziani di tutte le fedi, Shenouda III era un pilastro del vecchio autocratico regime. Mubarak infatti garantiva sì una certa protezione ai cristiani, ma permetteva anche al papa di consolidare il suo potere sulla chiesa, hanno dichiarato alcuni cristiani.
Solo qualche esempio: le restrizioni sul divorzio nel 2007, con la semplice richiesta del papa ortodosso a Mubarak di modificare la legge sullo statuto personale dei copti. Una legge capestro, soprattutto per le donne, che, se lasciate dal marito, vengono malviste dalla società e non possono neppure divorziare e risposarsi. Molti cristiani ortodossi, per poterlo fare, si convertono all’islam, in cui la condizione della donna è tristemente nota.
Per quanto riguarda i matrimoni misti tra cristiani ortodossi e non, Shenouda aveva stabilito che il coniuge cattolico dovesse essere ribattezzato nella Chiesa ortodossa, per potersi sposare e, nelle cerimonie ortodosse, il matrimonio avviene sempre nella Chiesa dello sposo, come in tutto l’Oriente. Quindi è la donna a dover convertirsi all’ortodossia cristiana.
Ciò porta oggi un parte dei cristiani a vedere certamente la morte del papa come un fatto tragico, ma anche una svolta rispetto alla dittatura precedente.
I copti, come ha spiegato Yousouf Sidhoum, editore del quotidiano copto Al-Watan, non hanno più bisogno di essere rappresentati dalla Chiesa e intendono riprendersi loro ruolo negli organi politici. Tuttavia questo avverrà, come abbiamo visto, estremisti islamici permettendo: i copti (come tutto l’Egitto) rischiano di finire dalla padella del regime di Mubarak, comunque “garante” del potere della Chiesa, alla brace di Fratelli musulmani e salafiti, che vedono tale potere dei cristiani come un mero privilegio, cioè qualcosa da negare.