Comunque finisca il caso marò l’Italia ne esce con le ossa rotte
28 Marzo 2012
Più di quaranta giorni dall’arresto nel porto di Kochi dei due marò italiani e l’intensità dei riflettori mediatici sul caso si affievolisce, come se fossimo all’ultimo atto di una pièce di teatro, con i corpi sul palco che si fermano e l’ultima frase che viene pronunciata dall’eroe (o eroina) del palcoscenico.
Ma nel caso della detenzione in terra indiana di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone non assistiamo ad una messa in scena teatrale, tanto meno al suo ultimo atto. E’ realtà vera, in cui si intrecciano morti sospette, ricostruzioni fallaci, diplomazia inefficace, pressione politica locale e ingordigia (ormai soddisfatta) di media indiani e italiani.
Al margine della conferenza sulla sicurezza nucleare in corso a Seoul, Mario Monti ha affermato che dal suo incontro con il primo ministro indiano, Manmoham Singh, è emersa la volontà dell’India di risolvere la questione dei due marò detenuti dalle autorità giudiziarie indiane in modo “amichevole”.
Un modo gentile per prendere tempo quello del premier indiano e rassicurare gli italiani che tutto andrà per il verso giusto. Ma ci si può fidare del governo indiano? Certamente non si può contare sulle autorità locali del Kerala, sul quale pesano giochi politici in funzione anti-partito del Congresso, guidato dalla Sonia Gandhi, da anni attaccata per le sue origini italiane.
Questo mentre da una parte l’inviato della ‘Farnesina’ in India, il sotto segretario Staffan de Mistura, rassicura sugli sforzi in corso da parte delle diplomazia italiana e dall’altra l’Alta Corte del Kerala rinvia a venerdì prossimo la pronuncia sul ricorso presentato dai legali dei due militari italiani.
Per quanto grottesca appaia la realtà delle cose, già il fatto che si sia arrivati nelle aule di tribunale indiane è un fallimento diplomatico evidente. Non solo l’Italia non è riuscita a impedire l’avocazione da parte indiana, peraltro del tutto illegittima, della giurisdizione sul caso – l’incidente è avvenuto al massimo entro le 24 miglia nautiche della ‘Zona contigua’ la quale come noto non riconosce allo Stato rivierasco alcun giurisdizione in questo genere di casi -, ma il nostro governo non è nemmeno riuscito a insinuarsi nel processo giudiziario in corso.
Generalmente, in questo genere di casi, si procede verso la formazione di una commissione d’inchiesta paritetica tra le parti in causa. Allo stato dell’arte, l’opzione pare non sia stata presa nemmeno in considerazione da parte indiana, e i nostri specialisti in materia balistica, i carabinieri del Ros mandati in Kerala, hanno uno status di meri ‘osservatori’ nelle indagini in corso. Una debacle plateale che getta l’ombra dell’incompetenza su tutta la strategia politico-diplomatica messa in campo dalla Farnesina.
Nel merito della dinamica di tutta questa vicenda poi resta fitta di lati oscuri e significative incongruenze, soprattutto quando le tesi dell’accusa vengono analizzate al microscopio. Con un’analisi tecnica della vicenda dei due marò, l’ingegnere Luigi Di Stefano (in passato perito in procedimenti giudiziari come quello del ‘caso Ustica’) smonta pezzo per pezzo, pur nell’aleatorietà delle fonti disponibili, le tesi accusatorie.
Parte dalla presenza navale commerciale e militare nell’aerea di mare di fronte alle coste del Kerala, ove assieme alla ‘Enrica Lexie’, tra il 15 e il 16 Febbraio, navigavano almeno altre quattro navi mercantili, tre delle quali in tutto simili per struttura e pittura della chiglia – nera e rossa – a quella della nave armata a Napoli (una di queste è la nave battente bandiera greca ‘Olympic Fair’).
Inoltre l’esperto di balistica – per sei anni Di Stefano ha prodotto periscopi per carri e autoblindo dell’Esercito italiano – ripercorre anche la ricostruzione dei fatti fatta secpndo le testimonianze rese, e spesso ritrattate, dell’equipaggio del ‘St. Anthony’ (al bordo del quale oltre ai due pescatori morti, si trovavano altri nove pescatori in coperta).
E poi la verosimiglianza della ricostruzione offerta dalla Guardia costiera indiana sul rientro nel porto di Kochi del peschereccio indiano viene messa sotto sforzo da Di Stefano. Secondo le autorità di pattugliamento costiero indiane, infatti, il ‘St. Anthony’ avrebbe raggiunto il porto di Kochi alle 18:20, ora indiana, a 15 minuti dall’ora del tramonto, mentre dalle immagini disponibili dall’entrata in porto del ‘St. Anthony’ è evidente che fosse ormai notte. Alcuni giornalisti presenti all’arrivo del peschereccio, fa notare Di Stefano, riportano che il naviglio sarebbe arrivato a Kochi addirittura alle 22:30, ora indiana.
Un dato questo che, in virtù dei posizionamenti satellitari disponibili delle navi presenti nell’area degli incidenti, renderebbe estremamente poco plausibile, per velocità di ritorno in porto dal luogo del presunto scontro, la vicinanza del peschereccio ‘St. Anthony’ alla petroliera ‘Enrica Lexie’ tra le 16 e le 17 ore locali, quando secondo la ricostruzione di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e quella del comando della nave italiana, l’attacco pirata si sarebbe verificato. Infine il lungo passaggio sulle incongruenze balistiche.
Comunque vada a finire questa brutta vicenda, tanto sul lato politico che su quello giudiziario, la diplomazia italiana ne esce a pezzi, così come la nostra tenuta negli affari mondiali: l’Italia è oggi costretta a inseguire le rassicurazioni del primo ministro indiano Singh a Seoul; a dover tollerare il silenzio assordante dell’America alleata; e forse, come si è vociferato sulla stampa nelle scorse settimane, ad assistere al presidente Berlusconi che in buoni rapporto con il presidente russo Vladimir Putin, cerca nella Russia un paese amico che possa intercedere per l’Italia presso l’India.
Va bene il ridimensionamento delle medie potenze economiche europee, ma la mancanza d’iniziativa, il silenzio che sta cadendo sulla vicenda, l’incapacità nell’assunzione di qualche tono marziale, soprattutto quando la legge degli Stati, il diritto internazionale, sta dalla parte dell’Italia, è una nuda e cruda sconfitta per l’Italia. Il governo italiano se ne assuma la responsabilità.