La spending review di Giarda conferma l’ovvio: l’Italia spende troppo e male
15 Maggio 2012
L’ultimo rapporto Giarda sulla spending review è un documento ricco di informazioni interessanti, relativamente all’individuazione delle sacche di inefficienza che si annidano nei bilanci delle pubbliche amministrazioni. E’ senz’altro azzeccata la citazione che il ministro riporta nell’introduzione del documento, dove riporta delle parole tratte dalla Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith, dove il grande filosofo di Edimburgo affermò che uno Stato non può vivere senza spesa pubblica, ma si può condannare alla stagnazione e all’instabilità finanziaria se la spesa pubblica cresce troppo rapidamente o se è troppo elevata.
Giarda rileva come, nel 2010, i livelli di spesa pubblica registrati in Italia sono risultati essere molto più elevati rispetto allo standard internazionale e come la composizione della spesa pubblica italiana presenti delle vistose anomalie, per via dell’eccessiva componente per interessi sul debito (70,3 miliardi di Euro) e pensioni (237 miliardi) e per lo scarso peso dato ai trasferimenti alle famiglie (71,2 miliardi) e alle imprese (18,6 miliardi).
Secondariamente, l’analisi di Giarda rileva come i costi di produzione dei servizi pubblici (scuola, sanità, difesa, giustizia, polizia, ecc.) siano cresciuti nel tempo molto più rapidamente dei costi di produzione dei beni di consumo privati, calcolando che, se i costi di produzione dei servizi pubblici fossero aumentati nella stessa misura dei costi di produzione dei beni di consumo privati, la spesa per consumi collettivi nel 2010 sarebbe stata di 73 miliardi di euro più bassa di quella effettivamente registrata. Una chiara dimostrazione di come il settore pubblico, per via della mancanza di concorrenza e dei giusti meccanismi di incentivo, risulti essere più inefficiente e meno innovativo rispetto al settore privato.
Il che suona come una forte esortazione nei confronti del premier Monti a ritornare al più presto sui decreti delle liberalizzazioni e sulle dismissioni del patrimonio pubblico, al fine di aumentare il peso dell’economia concorrenziale nel sistema. E Giarda attribuisce giustamente all’inefficienza della spesa pubblica la causa dell’esorbitante livello di pressione fiscale che l’Italia sta registrando in questi anni. Un risultato che sembra implicitamente suggerire al Governo che la strategia di risanamento dei conti pubblici dovrà passare necessariamente per un ingente taglio della spesa per poi procedere al tanto agognato abbassamento delle tasse, l’unica vera politica economica che può permettere al Belpaese di ripartire.
Il rapporto rileva, inoltre, il basso livello di autonomia impositiva degli enti locali, che suona come una critica al mancato completamento del processo attuativo del federalismo fiscale, di cui non si è più sentito parlare, se non in negativo, a causa delle critiche nei confronti della nuova IMU, che molti problemi e perplessità sta suscitando in questi giorni. Se, infatti, a fronte di un totale di spesa al netto della componente interessi pari a 183,3 miliardi di Euro, le amministrazioni centrali hanno una autonomia di prelievo pari a 410,4 miliardi, a fronte dello stesso fattore di spesa pari a 240,4 miliardi le amministrazioni locali hanno una autonomia di prelievo pari a soli 100 miliardi.
Il rapporto quantifica anche l’ammontare complessivo di spesa ritenuta “aggredibile” in 295 miliardi di euro, che rappresenta quindi il margine di spesa che può essere sottoposta al processo di spending review, divisa in spesa per acquisto di beni e servizi (135,6 miliardi), retribuzioni (122,1 miliardi), trasferimenti a imprese e contributi alla produzione (24,1 miliardi), contributi alla famiglie e alle istituzioni sociali (13,2 miliardi).
In conclusione, il rapporto Giarda rappresenta una ottima mappa ricognitiva dell’area di spesa aggredibile e delle cause di inefficienza, ed indica importanti e possibili soluzioni. Il passaggio successivo dovrà essere quello dell’attuazione. E non sarà una operazione semplice, dal momento che ogni azione di taglio andrà a cozzare inesorabilmente contro gli interessi di qualche corporazione o gruppo di interesse. Allo stesso modo, deve però essere chiaro che a questo processo di riduzione del peso dello Stato non esiste alternativa alcuna. Anche perché, a fronte di una spesa per consumi e stipendi pubblici destinati a scendere, esiste il rischio concreto di un aumento della componente di spesa in conto interessi, causato dall’aumento dei rendimenti sui titoli di Stato, a seguito dell’aumento degli spread che nella scorsa settimana si sono riportati a dei livelli di allarme.
La crescita della componente interessi potrebbe controbilanciare la discesa delle altre componenti di spesa, condannando così l’Italia ad una pressione fiscale elevata come quella attuale anche per i prossimi anni, con effetti drammatici su crescita e occupazione. Smentiti tutti quegli economisti che prevedevano un ritorno degli spread a livelli vicini ai 200 punti base, grazie all’arrivo di Monti, l’Italia si scopre un paese estremamente fragile e vulnerabile, ancora attaccabile dalla speculazione e con un futuro del tutto incerto. Da questo punto di vista, una ripresa nel breve periodo è ormai da considerarsi non più che una utopia.