Vendola sotto inchiesta anche per peculato

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Vendola sotto inchiesta anche per peculato

Stavolta la conferenza stampa non ha fatto a tempo a convocar­la, anche perché la narrazione del governatore rischiava di farsi meno poetica e più prosaica. Il presi­dente della Puglia Nichi Vendola è indagato un’altra volta. Per con­corso in peculato, abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, con l’ag­gravante di aver commesso un rea­to per occultare un altro, il tutto per una transazione tra la Regio­ne e il «Miulli» di Acquaviva delle Fonti ( Bari), un ospedale regionale nonché ente ecclesiastico. Una tempesta giudiziaria si abbatte sull’uomo dell’autoproclamata «Puglia migliore» all’indomani della prima nuvola, l’iscrizione nel registro degli indagati per la nomina di un primario amico all’ospedale San Paolo di Bari. L’ulti­ma vicenda, invece, emersa con la notifica della richiesta di proroga delle indagini dalla procura, è più complessa, le accuse più pesanti. Insieme a Vendola (indagato per peculato, abuso d’ufficio e falso) sono sotto inchiesta anche l’ex assessore Alberto Tedesco (per pe­culato e abuso d’ufficio), il suo successore Tommaso Fiore (pecula­to, abuso e falso) dimessosi pochi mesi fa – e già consulente sulla sanità di Vendola con Tedesco in carica – il vescovo di Altamura Mario Padello, il suo delegato monsi­gnor Domenico Laddaga, l’ex se­gretario generale dell’ospedale Rocco Palmisano e il suo successo­re Nicola Messina.

La storia nasce con una transa­zione da 45 milioni di euro datata 11 marzo 2009. Soldi chela Regio­ne voleva riconoscere all’ospeda­le ecclesiastico per lavori effettuati senza che il Miulli avesse potuto attingere ai fondi regionali per l’edilizia ospedaliera e come sal­do di prestazioni sanitarie eroga­te, ma rimborsate in misura minore al dovuto, secondo la direzione della struttura sanitaria. Tedesco esce di scena dopo aver istruito la pratica, portata alla firma nella Giunta di Vendola dal suo successore, Fiore. Ma a complicare le co­se arriva, nel luglio del 2010, una delibera con cui la giunta di Nichi cambia idea, e annulla la transa­zione, della quale era già stata pagata una rata. L’effetto della repentina retromarcia è una sentenza del Tar che condanna la regione guidata dal leader di Sel a un rim­borso ben più cospicuo e dannoso per le casse regionali : 175 milioni di euro. Un annullamento «ha­rakiri» che, sospettano gli inqui­renti, potrebbe essere stato in un certo senso «voluto», pur finendo per quadruplicare l’esborso per i disastrati bilanci. I pm al momen­to hanno messo nel mirino la fir­ma della transazione e il pagamento della tranche. Un versamento di denaro per il quale la giunta Vendola avrebbe distratto som­me che in bilancio erano destinate ad altri scopi. II governatore pu­gliese replica con una nota al «se­condo appuntamento » con l’iscrizione nel registro degli indagati in 24 ore, dicendo di non riuscire «ad immaginare nulla che possa ri­guardarmi» nella questione Miulli, e ribadendo la «totale, assoluta estraneità a fatti che sono al di là di ogni mia immaginazione». Ma il maltempo sulla Sanità pugliese non accenna a passare: per la vi­cenda degli accreditamenti con­cessi dalla regione a strutture sanitarie private che non ne avrebbe­ro avuto i requisiti, ieri è stata noti­ficata la chiusura indagini a una cinquantina di indagati. Tra loro, unico «politico», l’ex assessore vendoliano Tedesco.

(tratto da Il Giornale)