Il G8 di Camp David sarà cruciale per il destino dell’Afghanistan

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Il G8 di Camp David sarà cruciale per il destino dell’Afghanistan

19 Maggio 2012

Lasciare l’Afghanistan senza perderlo definitivamente. E’ questo l’obiettivo da raggiungere con il G8 di Camp David e con il summit di Chicago, che vede riuniti i capi di stato e di governo della Nato sulla strategia di transizione alle forze locali del controllo di sicurezza. Negli Stati Uniti i colloqui convergeranno sul ”passaggio di consegne” tra i contingenti Isaf e le autorità del governo di Kabul. Ormai la strada da seguire è stata già tracciata. L’impegno militare ed economico è stato gravoso. Con la crisi globale che ha decurtato i bilanci militari si punta sul disimpegno. Bisogna lasciare il “paese dei monti” senza trasmettere l’impressione che gli afghani siano abbandonati al loro destino.

Nell’incontro nella “wind city”, gli Stati Uniti definiranno con gli alleati il calendario della transizione delle truppe straniere. Pressato dalla corsa alla rielezione Barack Obama deve fissare sulla carta il piano di ritiro. Dopo dieci anni il conflitto, eredità della “war on terror” di George W. Bush, non è una priorità per l’elettorato americano. Alle prese con la crisi e la disoccupazione gli americani, semplicemente, non capiscono più per cosa stiano combattendo i propri soldati.

La voglia di disimpegno non è solo un’ esigenza americana. Gli alleati viaggiano in ordine sparso. Il neoletto presidente Francoise Hollande aveva annunciato in campagna elettorale un richiamo delle forze francesi entro la chiusura del 2012. L’Italia ritirerà i propri uomini nel 2014 ma come ha detto Mario Monti al segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen il nostro Paese continuerà "l’impegno finanziario e di uomini per addestrare le forze di sicurezza afghane". L’Australia, che di recente ha deciso il ritorno anticipato delle sue truppe,  contribuirà con 100 milioni di dollari l’anno per tre anni a partire dal 2015, al costo di mantenimento delle forze di sicurezza locali. Un accordo analogo è stato firmato con la Germania.

Il piano è chiaro: gli americani e i suoi alleati si ritirano ma non vogliono che l’Afghanistan si trasformi in un buco nero geopolitico. Per fare questo servono finanziamenti e assistenza. L’Afghanistan ha confermato la sua triste fama di “cimitero degli eserciti”. Ma la campagna militare all’ombra delle maestose vette dell’Hindu Kush non è stato un completo insuccesso a livello strategico.

Dopo appena una settimana di trattative è stato firmato il  patto strategico tra Stai Uniti e Afghanistan. Un accordo che consente agli americani di stabilire una presenza di lungo periodo in Asia centrale. Il testo dell’accordo diffuso dalla Casa Bianca mette in evidenza la "presenza duratura degli Usa in Afghanistan" e sostiene che non ci saranno "basi militari permanenti". Allo stesso tempo il governo di Kabul "si impegna a garantire al personale statunitense l’accesso alle installazioni afghane e il loro utilizzo oltre il 2014". Significa che i militari e le unità speciali avranno in Afghanistan la loro “base” per proiettare la propria influenza in quella zona del mondo così strategica.

Il paese è ricco di risorse naturali e può diventare parte di quel corridoi commerciale che va dall’Asia meridionale fino ai confini dell’Europa. La stabilità va preservata anche per impedire che l’implosione dell’Afghanistan si trasformi in un buco nero geopolitico capace di destabilizzare l’intero continente asiatico. Gli americani sanno che il puzzle afghano si risolve solo con il contributo della potenze regionali. Russia, Iran, Pakistan e India. Ognuno di questi paesi avrebbe molto da perdere da un Afghanistan destabilizzato da talebani liberi di sconfinare e da una guerra intestina tra le varie etnie.

Allo stesso tempo l’Afghanistan è una pedina del “grande gioco” in Asia centrale che questi paesi combattono tra loro. Dall’eterna lotta tra pachistani e indiani, fino all’aspirazione iraniana di tornare ad essere un peso massimo su quel fondamentale scacchiere geopolitico, passando per il desiderio russo di controllare l’Asia centrale. Gli Stati Uniti sanno quanto la partita afghana sia intricata e per questo hanno fatto in modo di assicurarsi una presenza significativa di uomini e risorse militari nel cuore dell’Asia.

Ma la possibilità di garantirsi una presenza stabile in Afghanistan ha un’altra fondamentale valenza strategica. In questo modo Washington può far sentire tutta la propria potenza alla Cina. Andandosi a piazzare ai confini dello Xinjiang manda un chiaro messaggio a Pechino: è troppo presto per lasciare spazio al declino americano. Così i cinesi dovranno guardare anche a Occidente proprio mentre gli Usa tornano protagonisti nel Pacifico per contrastare l’ascesa del gigante asiatico.