Che strazio i media italiani. La riprova? La narrativa sul G8 di Camp David
22 Maggio 2012
A leggere i titoli dei giornali italiani sulle dinamiche interne al G8 di Camp David appena conclusosi, veniva da pensare che al posto di un compito summit tra leader col pulloverino, fossimo in presenza in realtà a serratissimi duelli tra bande di moschettieri, come quelli deliziosamente raccontati nei libri d’Arturo Perez-Réverte, a cui prendono parte i potenti contro i giusti, aiutati da accoliti vari nella cornice di un decadente siglo español.
Un po’ di decadenza c’è pure nel presente, ma questa è un’altra storia. Il Corriere apriva sabato scorso con un titolo bisognoso d’esegesi: “Merkel sotto assedio al G8”. Domenica 20 Maggio, Il Giornale titolava “Con Obama e Hollande Monti vuol mettere nell’angolo la Merkel”. L’Unità: “G8, asse Obama-Monti Hollande”. In realtà non v’è nulla delle tenzoni cavalleresche (o meno) che i giornali italiani raccontano.
Al massimo v’è una cancelliera tedesca, Angela Merkel, che facendo uso delle leve economico-commerciali di cui dispone al livello europeo grazie al solido modello produttivo export-oriented del proprio paese, ha declinato delle regole su base europea – corpus del ‘ei fu ‘fiscal compact’ – in base alle quali non si può più fare crescita facendo deficit (e/o debito). In fondo, per quanto la cancelliera Inc. non piaccia, non ha mica tutti i torti.
Diciamolo con franchezza: ma al posto dei tedeschi chi vorrebbe pagare l’ennesimo piano di spesa pubblica europea che in Italia finirebbe non per far crescita ma per rimpinzare solo le tasche dei soliti imprenditori con le mani in pasta nella politica regionale? Nessuno. Dunque quel che va dicendo il governo tedesco, con buona pace dei propri conflitti d’interesse nell’imporre l’austerità agli altri e i trucchi contabili sul debito delle casse regionali, non è contro la crescita.
Quanto e piuttosto: facciamo crescita senza i soldi dei tedeschi, visto che sono rimasti solo quelli in Europa. E rabbia a parte per come i Merkozy hanno trattato il povero presidente Berlusconi, a questo punto gli diamo ragione ai tedeschi. In Europa dobbiamo solo tagliare la spesa pubblica. Quanto all’Italia dovremo licenziare o pre-pensionare un milione di dipendenti pubblici, tagliare tasse su lavoro e imprese e infine abbattere il debito pubblico (quello detenuto all’estero in primis). E incrociare le dita perché la locomotiva riparta.
Per questo, la fenomenologia giornalistica sul G8 fatta di triangoli, sproloqui su crescita, rigore, assi, crisi, euro – ‘Merkel contro Hollande’, piuttosto che ‘Hollande contro Merkel’, e ancora ‘Monti con Hollande e Obama contro Merkel’ e gli altri presenti alla tavola rotonda a battere le mani immaginiamo – è solo paccottiglia del tutto vacua. It’s such bullshit, sono tutte balle, direbbero gli americani.
Non è mica una partita di pallone del campetto parrocchiale sotto casa. Buon giornalismo avrebbe voluto che al G8 fosse riservato un richiamo in prima pagina, considerato che nel frattempo quel capitava a Camp David giornalisticamente parlando non valeva più niente visto che un criminale a Brindisi aveva ammazzato una ragazza di sedici anni, ferito più o meno gravemente altri sette giovani e che Madre Natura si è fatta venire lo sghiribizzo di mandare al Creatore qualche povero emiliano, costringendo cinque mila persone a trascorrere il prossimo anno in tende da terramotati e in alberghetti di provincia.
Appunto sarebbe bastato un richiamo di prima in cui si sarebbe dovuto riconoscere quel che era accaduto (o meglio non accaduto) a Camp David: “Al G8 i leader dell’Occidente non trovano soluzioni”. Questo è il mesto dato politico. Il nulla di fatto dell’inter-governatività di facciata a cui questo piccolo consesso dei potenti ci costringe da anni, è la vera notizia di queste giornate. Solo i dementi No global ancora credono che i ‘Magnifici 8’ siano davvero lì per decidere qualcosa.
Il problema è che sin da quando fu convocato la prima volta in Francia, a Rambouillet, dal presidente franzoso Giscard d’Estaing, il G6 (si chiamava così all’epoca) non hanno mai risolto un solo problema delle rispettive cittadinanze ivi rappresentate. Questi summit hanno certo accomodato qualche scaramuccia diplomatica più o meno grande, questo forse sì, ricomposto rapporti umani detoriati tra capi di stato e di governo, forse, ma non hanno mai dato slancio alla comunità degli uomini e delle donne che abitano l’emisfero Nord di questo mondo.
Iniziamo a credere che abbia ragione Ian Bremmer, politologo internazionale americano, che in questi giorni è alla ribalta delle cronache americane per la propria ultima fatica letteraria: “Every Nation for Itself: Winners and Losers in a G-Zero World”. G-0 appunto. Nessuno comanda più la nave e il mondo è diventato un posto pieno d’opportunità ma terribilmente instabile. L’America non è la nazione più potente, alla faccia dell’unipolarismo spacciato dai chierici giacobini de La Repubblica. Anche questo avrebbero dovuto dirci i giornali. Ma queste verità dell’uomo ai giornali non interessano un granché, specialmente a quelli italiani.