Arriva il ‘bail-in’, la statalizzazione del credito. E’ il capitalismo di Stato, baby!
23 Maggio 2012
La tenuta del sistema bancario europeo torna a preoccupare l’Europa della crisi fiscale e monetaria. Accade dopo la corsa agli sportelli in Grecia due lunedì fa – 700 mln di euro in un solo giorno – e qualche recente simile fenomeno in Spagna sul caso Bankia.
Su tutti i giornali economici dell’Occidente, dal Financial Times al Wall Street Journal, è un proliferare d’indiscrezioni che vogliono che per le cancellerie d’Europa girino un bel po’ di piani di contingenza qualora dal voto greco del prossimo Giugno dovessero emergere risultati elettorali tali da spingere alla formazione di un governo che traghetti Atene fuori dalla zona euro. Il premier Monti, così come Mario Draghi governatore della Bce, sostengono che la Grecia rimarrà nell’Euro. Chi può sapere?
E’ notizia di ieri che il partito conservatore greco ‘Nuova Democrazia’ stia riconquistando intenzione di voto in più, dopo il deludente 18% delle ultime consultazioni, anche grazie all’accordo di ricongiungimento con il partito ‘Alleanza Democratica’ di Dora Bakoyannis; maggiore cautela anche dal leader del partito di sinistra radicale, ‘Syriza’, il quale starebbe muovendo a più miti consigli sulle misure d’austerità della troika Fmi-Ue-Bce.
Comunque sia, l’incognita Grecia rimane, e allora si ragiona sui costi economici che l’Europa dovrebbe sostenere qualora uscisse dall’euro. Negli scorsi giorni un analista di JP Morgan ha stimato in circa 400 mld di euro il costo per l’intera Eurozona del Grexit (crasi tra Greece ed exit), partendo dalla Banca centrale europea esposta per 125 mld di euro, di cui 80 in linee di credito concesse alle banche greche e 45 mld di euro in titoli di debito greco. Altri 240 mld persi da Fmi e UE. E poi 25 mld in perdite per le banche europee, francesi e tedesche in primis.
Ora, nonostante qualche buona notizia dal lato dei partiti greci, in Europa e in America ha presto il sopravvento la ‘legge di Murphy’ – “tutto ciò che può andar male, andrà male” – e per questo si corre ai ripari. La scottatura del crollo di Lehman Brothers nel 2008 fa ancora male. V’è la fondata paura che, uscendo dall’euro, la Grecia finisca per travolgere non solo gli anelli fiscali deboli dell’Europa monetaria, Italia e Spagna, ma anche le banche del resto del Continente.
In sostanza si vuole evitare che, alla doppia recessione nella quale il Vecchio Continente è già impigliata, si aggiunga pure un crollo creditizio, uno scenario che rischierebbe di gettare l’intera economia dell’Eurozona in una recessione lunga almeno dieci anni.
Per correre ai ripari, dunque, tanto le cancellerie europee quanto i regolatori statunitensi, le agenzie di controllo borsistiche delle due sponde atlantiche, le banche centrali europee, banche private soprattutto britanniche e americane, hanno coniato un nuovo meccanismo dal nome complicato: “top-down bail-in”. Al posto del ‘bail-out’, il salvataggio, arriva ora il ‘bail-in’, la presa di controllo.
La nuova formula – che in sostanza non è altro che una velata statalizzazione delle banche – prescrive che qualora una banca fosse non più in grado d’operare, il governo prende le redini dell’istituto e dispone direttamente delle risorse interne. Le autorità pubbliche sarebbero messe in condizione di ristrutturare il debito delle banche e dichiarare l’irrecuperabilità (temporanea?) dei debiti della banca.
L’idea che vi soggiace è evitare che i contribuenti – tramite l’azione del governo – sborsino ingenti somme di denaro, senza aver diretto controllo delle operazioni della banca oggetto del salvataggio. La finalità di tutto questo meccanismo è quella d’evitare che vi sia contagio tra i vari istituti di credito internazionali.
A pensar male (ed è il caso di farlo di questi tempi visto che ci si azzecca sempre), il bail-in è forse solo un altro modo per riportare sotto controllo statale pezzi fondamentali dell’economia: le banche. D’altronde lo spirito del tempo è sempre più a favore del capitalismo di Stato. Quel giggione di Niall Ferguson, lo storico scozzese autore di best-seller, dalle colonne di Foreign Policy, la rivista progressista bimestrale, lo aveva detto: “Siamo diventati tutti capitalisti di Stato”.
Chi vuole vivere nel presente s’adegui all’ennesima perdita di libertà (economica). Si preferisce privare le comunità di libertà piuttosto che far fallire le banche. In un sistema capitalistico sano, gli istituti di credito insolventi dovrebbero fallire. Così come gli Stati.