“I fatti di Brindisi chiedono risposte sul fronte della sicurezza e della politica”
23 Maggio 2012
Da magistrato antimafia nella Sicilia post-stragi del ‘92 ad esperto di terrorismo internazionale. Stefano Dambruoso ha studiato a lungo e in profondità la fenomenologia della criminalità organizzata. Un patrimonio di conoscenza acquisito sul campo, indagine dopo indagine, in base al quale legge i fatti di Brindisi con la prudenza che serve in una fase così delicata delle indagini, senza tuttavia rinunciare a sollecitazioni sulle risposte che anche la politica è chiamata a dare ai cittadini.
Dottor Dambruoso, che idea si è fatto dell’attentato davanti alla scuola Falcone-Morvillo?
Oggi sicuramente sono state vagliate tutte le ipotesi e si è esclusa addirittura quella che sembrava aver già portato all’individuazione del presunto autore. Bisogna mantenere aperto tutto lo spettro delle possibilità. Resto comunque istintivamente convinto che dietro a quanto accaduto non ci sia un terrorismo nelle forme che abbiamo conosciuto di recente, quello cosiddetto anarco-insurrezionalista. Sono anche parzialmente convinto, ma è tutto da dimostrare con le indagini, che la criminalità organizzata cioè la Sacra Corona Unita, in quella zona sia poco attiva perché non è più strutturata e ramificata come ‘ndrangheta’, camorra o mafia siciliana. Potrebbe piuttosto trattarsi di una criminalità locale con caratteristiche e obiettivi locali e se di organizzazione si tratta, si tratta di gruppi che hanno uno scenario di criminalità assolutamente legata al territorio della provincia di Brindisi.
Lei è un esperto di terrorismo internazionale. Quali sono gli elementi che portano a non escludere del tutto questa pista?
Anzitutto oggi viviamo in un periodo di grande fibrillazione che ci deve portare a mantenere aperta qualsiasi possibilità. Il fatto che Brindisi sia un luogo tradizionale di passaggio di soggetti che dalla Grecia avevano contatti con la stessa area anarcoide italiana deve indurci a tenere aperta anche quella residuale possibilità investigativa.
In base alla sua esperienza la ritiene un’ipotesi credibile?
Continuo a ritenere che si tratti solo di una delle tre possibilità che oggi, anche a seguito della riapertura dell’ipotesi di individuazione del soggetto ripreso dalle telecamere, deve essere mantenuta in piedi.
Se il campo delle ipotesi investigative deve restare aperto, in tre giorni però, di piste ne sono state ipotizzate molte. Non ritiene che da parte degli inquirenti ci sia un’eccessiva accelerazione? Dalla mafia al terrorismo internazionale, dal gesto di un singolo alla Breivic, agli anarco-insurrezionalisti. Il tutto per poi tornare al punto di partenza.
Sicuramente c’è stata una immediata reazione investigativa, forse enfatizzata dalla gravità dei fatti e dalla pressione della richiesta di risposta parte dell’opinione pubblica.
A questo si aggiungono da un lato i protagonismi di giornalisti ‘pistaroli’, dall’altro le fibrillazioni tra magistrati che indagano: Lecce con Brindisi, Napoli con Lecce. Qual è la sua valutazione?
No comment su qualunque valutazione che riguardi la magistratura. Sono ottimista sul fatto che lasciando lavorare gli investigatori si dipanerà il groviglio, ancora in piedi, nelle indagini.
Apriamo una parentesi sui fatti di Genova. C’è un salto di qualità nella strategia degli anarco-insurrezionalisti che alcuni osservatori considerano per certi aspetti gli ‘eredi’ delle Br. Cosa ne pensa?
Sicuramente c’è un salto di qualità nelle modalità operative. Si è molto riflettuto sul fatto che vi sia stato un monitoraggio della vittima e l’uso di un’arma straniera di uso bellico; circostanza che mai si era verificata nelle precedenti attività della cosiddetta area anarco-insurrezionalista, di cui ricordiamo la spedizione di plichi esplosivi o di ordigni che miravano a danneggiare edifici simbolicamente rappresentativi di quelli che vengono definiti i ‘mali del capitalismo’.
Torniamo all’attentato di Brindisi. Che segnale è nella strategia criminale l’aver colpito adolescenti, studentesse davanti alla loro scuola?
Laddove si dovesse accertare che la criminalità locale abbia davvero deliberato di sacrificare delle vite di giovani adolescenti pur di raggiungere i propri obiettivi criminali, ci troveremmo di fronte ad uno scenario davvero inaspettato. Se invece, si dovesse confermare la pista investigativa del singolo, folle o no, allora paradossalmente ci troveremmo di fronte ad un fatto non particolarmente preoccupante in prospettiva.
Si spieghi meglio.
Voglio dire che in quest’ultimo caso non si tratterebbe del primo episodio di una strategia pianificata.
In questo momento lei vede un rischio emergenza-sicurezza nel nostro paese?
Il contesto caratterizzato dalle difficoltà della crisi economica può rappresentare un detonatore per varie reazioni inconsulte. Quindi ritengo che davvero occorre prestare attenzione sia in termini di sicurezza sia in termini di politica pura: la gente vuole risposte rassicuranti ed efficaci per il proprio futuro immediato.
L’ex sottosegretario dell’Interno Mantovano sollecita l’applicazione del ‘modello Caserta’ nel contrasto alla criminalità che negli ultimi quattro anni ha portato a risultati strategici. Lei ritiene che la presenza costante dello Stato nel territorio sia uno strumento determinante?
Nei periodi di particolare emergenza la presenza dello Stato, da un lato è davvero funzionale al controllo del territorio, dall’altro rappresenta un chiaro messaggio che avvicina alle istituzioni una popolazione che si sente meno lontana dal cuore della politica e più protetta. Per la mia esperienza di magistrato antimafia in Sicilia, nel periodo post-stragi ’92-’95, posso dire che la presenza dei militari ha consentito alla giustizia di dare risposte incisive nella lotta alla mafia.