Bloccare il calcio: per me no
30 Maggio 2012
Villa Madama, martedì. Nel corso della conferenza stampa con il premier polacco Donald Tusk, il presidente del Consiglio Mario Monti si lascia scappare un personale e informale auspicio: “Non sto facendo una proposta, men che meno una proposta del governo, ma è un desiderio che qualche volta io – che sono stato molto appassionato di calcio anni fa – dentro di me sento: se per due o tre anni per caso non gioverebbe molto alla maturazione di noi cittadini italiani una totale sospensione di questo gioco”.
I motivi della proposta sono presto detti: le condizioni di salute dello sport più amato dagli italiani sono pessime. Soprattutto gli ultimi mesi hanno riportato a galla la gran mole di marcio presente all’interno del calcio italiano. Dalla violenza – si ricordi il folle pomeriggio di Genova del 22 Aprile quando 200 ultras tennero letteralmente in ostaggio, per via dello 0-4 casalingo contro il Siena, i calciatori del Genoa – alla bufera del calcio scommesse: arresti e indagati eccellenti, rischi di penalizzazione e possibile coinvolgimento nell’inchiesta dei vertici dei Club.
Inoltre, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore di martedì 29 Maggio scorso, “il patrimonio netto dell’intero sistema professionistico è calato durante la stagione 2010/11 del 50% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 202 milioni”, con le 4 ‘big’ – Milan, Inter, Juventus e Roma – in coda alla graduatoria dei bilanci. Non solo violenza e (presunte) attività penalmente rilevanti, quindi; i Club italiani si contraddistinguono anche per la cattiva gestione dei propri conti, a differenza dei Club degli altri Paesi europei (su tutti si veda il caso tedesco), molto più solidi sotto l’aspetto economico-finanziario.
Il quadro è disastroso, fermiamo tutto per qualche anno? Nient’affatto! Il presidente del Consiglio, al riguardo, ha torto da vendere. Il calcio è passione, emozioni. Su tutti: le palpitazioni della prima volta allo stadio e le fatidiche (e infinite) scale da percorrere verso gli spalti; il dolore delle sconfitte la domenica sera; e poi le vittorie, dopo ‘atroci’ sofferenze (sportive, siano chiare le virgolette), vissute sempre alla stregua di eroici trionfi. In altre parole, il calcio è il goal.
Un celeberrimo film di David Evans, tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby, ‘Febbre a ’90’, descrive con immensa maestria il folle, inspiegabile avvicinamento di molti pre-adolescenti al viscerale e a tratti inquietante tifo per gli ‘undici uomini in mutande’. “Dopo un po’ non sei più capace di capire se la vita è una m**** perché l’Arsenal fa schifo o viceversa”, è una delle frasi più significative del film, ed è anche ciò che passa abitualmente nelle a dir poco pessimiste menti di molti appassionati/malati di calcio.
Che senso hanno, quindi, le parole del premier? A qualcuno, per caso, è mai venuto in mente di apporre i lucchetti alle discoteche italiane, stracolme di droghe di ogni genere e grado e teatri settimanali di risse da saloon? E perché allora non bloccare per 2 o 3 anni, o addirittura ad libitum, gli appalti pubblici, considerato l’altissimo tasso di corruzione? No, le discoteche rimarranno aperte e gli appalti continueranno a essere indetti, nonostante le mazzette. E il calcio? Anche lo sport più amato dagli italiani proseguirà a far divertire, gioire e soffrire. Per il resto, caro presidente Monti, i fenomeni da lei stigmatizzati, fortunatamente, sono il prodotto di una minoranza. Nel caso dei violenti, tutt’altro che silenziosa. Ma pur sempre minoranza. Il Codice Penale e il Codice di Procedura Penale contengono tutti gli strumenti necessari per debellare questi fenomeni. Sul piano culturale, invece, la battaglia è ancora molto dura. Non è fermandosi, tuttavia, che si risolvono i problemi. Uno stop, evidentemente, assumerebbe le sembianze di una vera e propria resa.