Monti pensa al bis, Berlusconi ‘testa’ la campagna elettorale

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Monti pensa al bis, Berlusconi ‘testa’ la campagna elettorale

27 Settembre 2012

Da New York Mario Monti lancia il sasso nello stagno e i cerchi concentrici provocano l’effetto immediato e voluto: spiazzare la politica a Roma. Il Prof. non si candida tra sei mesi ma se dopo il voto ci sarà bisogno, lui è pronto. Messaggio con dentro altri messaggi. Da Roma Silvio Berlusconi fa altrettanto, seppure da latitudini diverse, con grande attenzione alla legge elettorale e agli scenari che ne deriveranno.

Non si scontrano frontalmente i due, si punzecchiano ma entrambi usano quella dose di prudenza necessaria in un contesto ancora molto liquido, in attesa di sapere con quale sistema di voto si andrà alle urne. Tattica attendista, dunque, ma in entrambi i casi con la consapevolezza di un graduale posizionamento nello scacchiere politico.

“Non mi candido alle elezioni. Sono già senatore a vita. Ma se dopo il voto qualcuno pensasse che io possa essere ancora d’aiuto, se ci fossero circostanze speciali e me lo chiedessero, lo considererò” dice Mario Monti da New York. Due messaggi. Il primo sembra essere rivolto più ai mercati che alla politica nostrana, dopo giorni di altalena sullo spread e le notizie che arrivano da Spagna e Grecia. Il tutto per dire che l’opzione di un Monti-bis non è affatto archiviata se le condizioni economiche legate alla crisi dovessero richiedere un altro giro di giostra di un esecutivo tecnico. Il secondo tutto interno allo scenario nazionale: la mossa del Prof. dice che sta valutando ciò che esce dai sondaggi e cioè quel 37 per cento di elettori pronti a sostenerlo in un nuovo incarico a Palazzo Chigi, nonostante quello che Monti ha chiesto finora agli italiani: alias lacrime e sangue. Dettaglio non da poco, specie se dovesse passare una riforma della legge elettorale in senso proporzionale e se, a urne chiuse, non dovesse uscire fuori una maggioranza chiara in grado di governare stabilmente. Che tradotto significa: grande coalizione.

Il fair play nei confronti di Berlusconi e dell’ipotesi di una sua candidatura a premier conferma la tattica montiana: “Berlusconi non è tornato in Italia dopo aver vissuto in un’isola deserta. Ha sempre continuato a fare politica: è il leader di uno dei tre partiti che sostengono il governo, quello che ha la rappresentanza parlamentare più ampia”, osserva il Prof. che poi ricorda: “E’ stato lui a ‘scoprirmi’ e a nominarmi commissario europeo”.

Da Roma il Cav. replica a distanza: non apre a un Monti-bis ma nemmeno chiude definitivamente la porta. In buona sostanza, non esclude l’eventualità ma non la sponsorizza. Tanto è vero che a precisa domanda risponde osservando che è prematuro parlare adesso di un’ipotesi del genere perché ci sono le elezioni “e non si sa neanche con quale legge elettorale si va a votare…”, Ed è proprio questo il punto: se come sembra (ma non è detto perché in questi giorni è rispuntata l’idea di un Porcellum corretto) si tornerà ad un sistema proporzionale, il Cav. sa bene che la sfida elettorale per il centrodestra è tutta in salita e in caso di sconfitta, l’obiettivo è essere condizionante in Parlamento nel caso in cui non si determinasse una maggioranza in grado di governare da sola. In questo snodo sta l’eventualità di un governo tecnico sul quale Berlusconi intende esercitare il proprio peso politico. Anche per questo, presentando il libro di Renato Brunetta, l’ex premier non ha voluto forzare oltremodo, pur non rinunciando a critiche sull’operato del suo successore.

Se, invece, alla fine dovesse restare il Porcellum (seppure con qualche correzione), l’ipotesi più verosimile è che Berlusconi si candiderà premier con l’obiettivo di riaggregare le forze che stanno nel centrodestra e non solo, puntando sul progetto di un partito dei moderati da contrapporre all’Unione in salsa bersaniana. Magari attraverso una scomposizione del Pdl ma dentro uno schema federale.

Non è un caso se proprio ieri, mentre Monti da New York non escludeva l’idea di una successione a se stesso, Berlusconi ha impugnato il vessillo della campagna elettorale: l’affondo sulla pressione fiscale, l’attacco a Equitalia, il pollice verso su un’Europa a trazione tedesca (“se la Germania uscisse dall’euro non sarebbe una tragedia”). Tutti temi dell’agenda del Pdl che Berlusconi sta mettendo in campo anche per testare in questa fase la reazione di un elettorato in buona parte deluso e distante. Sono i temi forti del dna pidiellino sui quali si vuole rimotivare il popolo di centrodestra e attrarre il grande partito degli astensionisti.  I giochi per Palazzo Chigi sono iniziati e, pare di capire, sia Monti che Berlusconi vogliono stare in partita. Non in panchina.