Berlusconi deve fare autocritica o il Pdl non si rifonda
07 Ottobre 2012
A prenderlo in parola il <quotidiano di famiglia> racconta di un Silvio Berlusconi adirato, insofferente verso le <vecchie cariatidi> del Pdl, annoiato dai loro discorsi, disgustato dagli scandali ed ormai orientato liquidare il partito (ecco che ritorna la visione aziendalistica e proprietaria ) come se fosse una <bad company> in cui confinare il personale in esubero. Si parla di dar vita ad una lista del Cavaliere a cui associare una miscellanea di liste civiche e varie umanità. Il tutto – oves et boves et omnia pecora campi – dovrebbe fare il suo ingresso sulla scena politica italiana in occasione della manifestazione del 2 dicembre, una data che rievoca la <giornata della gloria> di Silvio Berlusconi <folgorante in soglio> quando riuscì a convocare a Roma un milione di persone contro il Governo di centro sinistra.
Intanto, le reti Mediaset (si veda il talk show di nuovo conio <Quinta colonna>) cominciano a cavalcare l’antipolitica, come all’inizio degli anni novanta nutrirono il coccodrillo di Mani pulite. E Berlusconi si lancia in considerazioni sull’Unione europea, l’euro, la Germania che fanno più il verso a quanto urla Beppe Grillo nelle piazze che alle decisioni che si assumono nei vertici dell’Unione (bene ha fatto Mario Mauro a sottolinearlo con forza).
Ma Silvio Berlusconi crede di essere ancora l’imprenditore di successo che, nel 1994, da homo novus della politica, portò alla vittoria gli elettori dei partiti democratici (demoliti a bella posta dalle Procure) pronti a schierarsi con un movimento messo in campo <un po’ per celia, un po’ per non morir>, pur di non spalancare, immeritatamente, le porte del potere agli eredi del Pci? Oppure pensa di essere ancora in grado di compiere il miracolo del <Predellino>?
Per quanto soffra di surriscaldamento dell’Io, il Cavaliere dovrebbe capire che non vedrà più sorgere il sole di Austerlitz, ma solo la triste foschia del tramonto a Waterloo. Certo, contro di lui si sono scatenate forze potenti ed implacabili, che hanno abusato di delicatissimi meccanismi di potere, si è deviato in modo deprecabile dalle regole dello Stato di diritto, tanto da comprendere e legittimare il suo desiderio di misurarsi di nuovo con il voto degli italiani e di ottenere da loro (non dai suoi nemici) un giudizio sul suo impegno politico.
Al di là di tutte le giustificazioni che gli sono consentite, Berlusconi dovrebbe porsi una domanda: per favorire la creazione di uno schieramento moderato in grado di impedire che il Paese sia consegnato alla coppia Bersani-Vendola (alias Camusso-Landini) la sua ri-discesa in campo è parte della soluzione o del problema? A torto o a ragione il Cavaliere è divenuto un ostacolo per la costruzione di una coalizione in grado di competere. Si dirà – ed è abbastanza vero – che lui è il solo che può tenere in piedi ciò che resta del Pdl; ma tutto ciò evoca, purtroppo, l’immagine della <ridotta della Valtellina> dove rinchiudersi per un’ultima disperata resistenza. Ma il Pdl, così com’è, di chi è figlio ? Chi ne ha scelto i dirigenti ? Chi ha lasciato che i problemi marcissero, anno dopo anno, sotto gli occhi di tutti ? Vogliamo parlare del Lazio? Quando un partito non riesce a presentare la lista di Roma alle elezioni regionali perché si voleva manipolare fino all’ultimo minuto la graduatoria delle candidature, è giusto far finta di credere che l’incaricato era andato a farsi un panino con la porchetta per evitare la caduta degli zuccheri? E quando le ultime consultazioni amministrative diventano il teatro di una guerra per bande dove i gruppi dirigenti locali preferiscono perdere le elezioni piuttosto che dare spazio all’avversario interno al partito, c’è bisogno che emergano i giroconti di Franco Fiorito, i Suv e le ville oppure le feste in maschera (sbattute in prima pagina) per capire che <c’è del marcio in Danimarca>?
Forse tirando fuori dal suo cilindro di prestigiatore un nuovo partito (diretto da Daniela Santanchè?) Berlusconi pensa di scaricare sulle spalle dei tanti Fiorito le <feste eleganti> di Arcore, le escort e le inquiline del gineceo condominiale dell’Olgettina, la nipote di Mubarak, lo stipendio ‘pronta cassa’ alla famiglia Tarantini, i torbidi rapporti con Valter Lavitola, la candidatura blindata di Nicole Minetti. Ma non è così. Quando un uomo politico è nel mirino di istituzioni golpiste, pregiudizialmente ostili, deve essere cauto e sobrio, non dare adito a comportamenti che, strumentalizzati con spregiudicatezza, hanno concorso a determinare le ultime sconfitte elettorali del Pdl.
Ma ben oltre il gossip (che purtroppo ha assunto un rilevo politico) ci sono altri aspetti su cui riflettere. Tralasciamo pure il contrabbando di sottosegretariati che ha consentito, per un anno, alla maggioranza di centro destra di superare lo shock della scissione di Gianfranco Fini. Del resto, in questa pratica, Berlusconi avrebbe molto da imparare da Massimo D’Alema. Non parliamo neppure dell’errore compiuto nel delegittimare un bravo e credibile ministro dell’Economia come Giulio Tremonti che godeva della fiducia dei mercati. Imperdonabile ci sembra, però, il trattamento riservato ad Angelino Alfano, la cui lealtà nei confronti del Cavaliere è persino commovente. Su di lui – un leader giovane, capace e perbene – aveva scommesso la parte sana del partito (ovvero la grande maggioranza) nella speranza di riscattare le sconfitte attraverso una incisiva azione di rinnovamento. Alfano si era accreditato presso gli altri partiti, aveva portato il Pdl fuori dall’isolamento, pur nella difficile situazione in cui era venuto a trovarsi con il sostegno al Governo Monti. Stava nell’ordine delle cose che fosse lui in candidato del Pdl nella competizione elettorale del 2013, magari dopo essersi sottoposto alla sceneggiata delle "primarie", uscendone rafforzato nell’intento di fare del Pdl il "partito degli onesti". Se oggi il segretario e’ divenuto una seconda scelta, una sorta di "re di maggio", come tale sostanzialmente delegittimato, lo si deve al Cavaliere che non ha mai smesso di dire l’ultima parola sulle decisioni politiche ed ora tergiversa anche sulla possibilità di candidarsi, nonostante che le elezioni siano ormai dietro l’angolo.
Tutto ciò premesso, Berlusconi, come imprenditore e come statista, ha agito nell’interesse del Paese. Dobbiamo essergliene grati. Ma un leader deve saper riconoscere le sconfitte per salvare quanto ha costruito. Ci sono tante brave persone, serie, preparate e oneste che nelle assemblee elettive e nel territorio hanno lavorato per lui. Il Pdl appartiene anche a loro. Poi arriva sempre qualcuno ad accorgersi che il re è nudo.
Tratto da Il Tempo del 7 ottobre 2012