Taranto continua a temere, senza l’Ilva crolla il tessuto socio-economico
28 Luglio 2012
di M. C.
Taranto è sottosopra e adesso tutti temono per il futuro del capoluogo jonico. Il sequestro dei sei reparti dell’Ilva, decretato giovedì dalla magistratura, ha avuto due effetti collaterali del tutto prevedibili: primo, si sono accesi i riflettori su una città che da decenni è costretta a scegliere tra la salvaguardia dell’ambiente ed il lavoro; secondo, è stato minacciato il futuro di migliaia di operai specializzati che all’Ilva ci lavorano, percorrendo quella che, laggiù, per alcuni è l’unica via possibile.
In questi giorni fiumi di parole sono state scritte sulla vicenda, ma l’irruzione pacifica dei lavoratori venerdì, durante la conferenza stampa promossa dai vertici dell’azienda e i blocchi stradali vivi fino a ieri sera, spiegano meglio di qualsiasi parola lo stato d’animo di una città che grazie all’Ilva sopravvive: "Da adesso non si decide più nulla senza di noi" hanno detto gli operai e non si fa fatica a crederci. La presa di posizione è stata forte e risultati ne ha avuti se è vero, come sembra, che lo sciopero ad oltranza è scongiurato perché le assicurazioni della proprietà hanno avuto l’effetto sperato: "L’Ilva resta a Taranto" – ha detto Ferrante, al vertice della industria siderurgica – e la volontà è quella di far passare il prima possibile questa terribile nottata.
Se la procura difende la sua decisione e giura di averla presa dopo attente valutazioni perché consapevole dell’impatto che i lucchetti avrebbero avuto sull’economia cittadina, in tribunale i magistrati si difendono dicendo che una possibilità diversa non esisteva perché ll’ipotesi di reato corrisponde una precisa misura e i sigilli andavano messi senza andare troppo per il sottile.
Intanto, è partita la gara delle responsabilità anche da parte di chi, fino a ieri, qualcosa per l’Ilva e per Taranto l’avrebbe potuta fare. La politica, diversamente dalla magistratura, non trova giustificazioni, anzi approfitta dei riflettori sulla città per mettersi l’abito della domenica e sfornare soluzioni che se fossero state annunciate due giorni fa avrebbero avuto i contorni della genialità. Ora è facile, con le luci accese e la cravatta preferita al collo, mettere in campo idee e progetti per il nuovo corso del capoluogo jonico, patria primordiale della Magna Grecia. Nel silenzio assordante di Mario Monti che, almeno fino ad ora, non ha commentato gli arresti eccellenti di giovedì, Nichi Vendola, deus ex macchina della Puglia, si propone come figura intermediaria per salvare i lavoratori e recuperare il futuro della citta. Il governatore è stato in passato l’alfiere delle battaglie contro l’industria e, non più tardi di giovedì sera, si era augurato che il lavoro della magistratura potesse arrivare fino in fondo, annunciando la possibilità, per la Regione, di costituirsi parte civile all’eventuale processo. C’era la solidarietà per i lavoratori e niente
più.
Ieri, invece, la svolta che ha visto Nichi proporsi come figura di raccordo tra proprietà e lavoratori. Un passo avanti nato dalle critiche piovute sul governatore che per sette anni ha governato la Puglia gestendo la questione Ilva con fasi alterne. Saranno state le parole dei sindacati (prima fra tutti la Fiom) che hanno paura per il futuro dei lavoratori; oppure saranno state le parole di Squinzi, leader di Confindustria, che ha parlato di "rischio per tutto il comparto manifatturiero": fatto sta che Vendola, adesso, apre e sostiene che non sia affatto finita l’epoca dell’Ilva, ma "è finita l’epoca in cui il diritto alla salute e quello all’ambiente potevano essere considerati marginali rispetto alle prerogative del profitto e
della crescita economica".
E allora così vien da chiedersi come mai in questi sette anni di governo il leader di Sel, partito che governa anche la città di Taranto, non abbia provato ad invertire la rotta di quello che lui definisce "industrialismo cieco", ma ha aspettato che i lavoratori scendessero in piazza per difendere quello che è il loro diritto a lavorare. Se l’è chiesto anche Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori Pdl: "Dopo sette anni al governo – dice – il presidente della Regione e’ l’ultimo a potersi proporre come risolutore del caso Ilva". Quello che alla Puglia oggi serve è un percorso coerente verso un inedito equilibrio tra salvaguardia dell’ambiente e industria, sperando che "la finestra temporale determinata dalle procedure venga impiegata per prospettare percorsi che scongiurino esiti catastrofici per il tessuto socio-economico dell’area e contemperino, nel rispetto della legge, la riqualificazione ambientale con la salvezza dei posti di lavoro".