“Con Prodi è cresciuta la minaccia per la sicurezza nazionale”

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“Con Prodi è cresciuta la minaccia per la sicurezza nazionale”

24 Luglio 2007

Intervista ad Alfredo
Mantovano
di Emiliano Stornelli

I recenti fatti di Perugia, dove le forze dell’ordine hanno
proceduto all’arresto di sospetti terroristi islamici esperti anche nella
realizzazione di sostanze esplosive artigianali, sono l’ennesima dimostrazione del
radicamento nel nostro paese di raggruppamenti islamici radicali che al riparo
delle moschee, delle scuole religiose e dei cosiddetti centri culturali,
svolgono opera d’indottrinamento all’imperativo categorico del jihad contro gli
occidentali e di addestramento all’arte
del terrorismo, indirizzata finanche ai bambini. Anche gli inconsapevoli e i minimizzatori
dovrebbero aver aperto ormai gli occhi e aver preso finalmente atto della
realtà. Alfredo Mantovano, senatore di Alleanza Nazionale e membro del Comitato parlamentare di
controllo sui servizi segreti italiani (Copaco),
ci fornisce un punto di vista informato e attento sul terrorismo islamico in Italia e svela le
mancanze del governo Prodi in materia di sicurezza nazionale.

Qual è la sua valutazione sull’arresto dell’Imam di Perugia e sulla scoperta di una cellula jihadista locale?
C’è la conferma di un quadro preoccupante che forse qualcuno
scopre solo adesso ma che in realtà si è consolidato nel corso degli anni. E’
la conferma dell’esistenza di una rete terroristica che ha già svolto in
diverse città italiane una funzione di reclutamento, indottrinamento e
addestramento di soggetti che poi sono stati inviati a farsi esplodere o a compiere
ugualmente azioni di tipo terroristico prima in Bosnia e poi in Afghanistan e in
Iraq, e che continua a prosperare con la complicità o la copertura di alcune
moschee e centri culturali islamici, con l’indifferenza di tanti sia nel mondo
culturale che nel mondo politico. Nel mondo culturale, in particolare, sono più
attenti a censurare i libri di Magdi Allam che non a contrastare queste forme di
odio, violenza e terrorismo che crescono e prosperano in casa nostra. 

Di oggi è la notizia
che i pm della procura di Milano hanno espresso il loro parere negativo sulle “Black
list” dell’Onu e dell’Ue che raccolgono i sospetti finanziatori del terrorismo
internazionale, perché frutto “di decisioni adottate in base a sospetti e a
conseguenti opzioni politiche” e pertanto non possono “costituire un elemento
di prova penalmente rilevante” in sede di giudizio. E’ possibile intravedere
anche in questa presa di posizione il tentativo di affermare contro il
terrorismo la preminenza della via giudiziaria?

La procura di Milano in passato ha svolto le indagini più
impegnative in materia di terrorismo. Nel caso delle “Black List” si è
registrata una preoccupante disattenzione dovuta a un problema di adeguamento
culturale da parte della magistratura giudicante e non di quella inquirente. Se,
come si è detto oggi, il problema è la fonte politica di queste liste, la
procura di Milano dovrebbe spiegare quale altra autorità se non quella che ha
la responsabilità della sicurezza dei singoli stati può redigere queste liste. Poi
è chiaro che la schedature nelle liste non è di per sé prova di attività
terroristica, ma si tratta comunque di un dato rilevante perché determina un
orientamento e rende più facile il compito dell’interprete e soprattutto del
giudice. Ad ogni modo, non si può condividere che un fenomeno come il
terrorismo venga affrontato solo per via giudiziaria. Determinante nel
garantire la sicurezza nazionale è soprattutto la parte della prevenzione che
compete al governo, alle forze di polizia e ai servizi di sicurezza. 

Gli attacchi che i
servizi di sicurezza oggi subiscono da più parti possono minare la loro efficacia
operativa nella funzione di prevenzione e contrasto del terrorismo?

Certamente sì. Il risultato più eclatante è stato la perdita
di credibilità rispetto ai servizi di sicurezza dei paesi alleati, dovuto
soprattutto al fatto che le utenze di cellulari e i nomi di testimoni e degli
agenti dei servizi stranieri sono stati scoperti in modo abbastanza incauto nel
corso di alcune indagini. Tuttavia, quel che deve preoccupare maggiormente è il
taglio del 50% dei fondi e delle risorse destinate ai servizi di sicurezza stabilito
dall’ultima legge finanziaria. Il taglio ha messo davvero in ginocchio la
nostra intelligence che così si è trovata costretta a licenziare – e lo sta
facendo – e a non poter pagare le informazioni come faceva in passato. 

E’ possibile fare un
bilancio delle politiche del governo Prodi in materia di sicurezza e
antiterrorismo?

Tutto quello che su questo fronte si può dire di un anno
abbondante di governo Prodi – con riferimento sia alle questioni riguardanti i
servizi di sicurezza sia ai tagli che anche le forze di polizia anche subito –
è che, al di là delle intenzioni, questo esecutivo è oggettivamente complice
del crescere del rischio criminalità in generale e del rischio terrorismo in
particolare.

Quali politiche dovrebbero
essere adottate nei confronti delle moschee?

La prima misura è di ordine culturale: bisogna togliersi
dalla testa che le moschea per i musulmani siano l’equivalente della parrocchia
per i cattolici. E’ qualcosa di più e di diverso. E’ un luogo di formazione e
di aggregazione culturale e politica, quando va bene; spesso, però, è qualcosa
di più, come dimostrano le indagini relative a Perugia e ancor prima Milano,
Bologna, Napoli e così via.
La seconda misura riguarda più precisamente gli imam delle
moschee. Se in una chiesa cattolica durante l’omelia un parroco incitasse all’odio
e all’uccisione dei musulmani, tale parroco non durerebbe a lungo né in quella
parrocchia né tanto meno nelle vesti di parroco. Questo è un esempio
semplicemente teorico, ma nelle moschee accade realmente che gli imam incitino
allo sterminio di cristiani ed ebrei. Allora, lo stesso metodo che useremmo nei
confronti del parroco cattolico deve essere applicato verso gli imam musulmani radicali
e verso chiunque altro nelle moschee e nei centri culturali islamici predichi
la jihad e lo sterminio degli occidentali. 

Come valuta le politiche
del governo Prodi sull’immigrazione?

Il governo Prodi non sta attuando alcuna politica
dell’immigrazione. Sta aprendo le porte a tutti in maniera incontrollata e
senza regole. Non è un caso che la novità degli ultimi mesi siano gli sbarchi
di clandestini in Sardegna provenienti dall’Algeria che in precedenza non
c’erano mai stati. Dall’Algeria i clandestini non riescono più ad andare in
Francia e in Spagna, dove le frontiere si sono irrigidite, e trovano il loro
porto franco in Italia. A ciò si aggiunge anche l’abolizione del permesso di
soggiorno per fini turistici, quindi è possibile entrare tranquillamente in
Italia dichiarando con una sorta di autocertificazione che si desidera rimanere
per soli tre mesi anche se poi in realtà la permanenza supera la scadenza dei
90 giorni.

Qual è
l’atteggiamento del governo Prodi verso l’Islam radicale radicato sul nostro
territorio?

Da parte del governo Prodi c’è una certa benevolenza verso l’Islam
radicale e ciò a causa della sinistra estremista, quella che tiene
letteralmente in vita l’esecutivo e vede nell’immigrazione extracomunitaria
l’equivalente dei proletari di 150 anni fa. Oggi i proletari non esistono più
nelle fabbriche e li vogliono sostituire con gli immigrati. Questo gli
immigrati non lo sanno, ma la sinistra estremista li considera come tali. Hanno
sbagliato a suo tempo e continuano a sbagliare anche adesso.