Paradossange

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Paradossange

21 Agosto 2012

Usando un gioco di parole lo si potrebbe definire un “paradossange”. Dopo 58 giorni di ospitalità nella sua ambasciata di Londra, l’Ecuador ha deciso di concedere l’asilo politico a Julian Assange per evitare che venga estradato dal Regno Unito in Svezia, dove lo attendono sul banco degli imputati per rispondere alle accuse di molestie sessuali avanzate da due ex attiviste di WikiLeaks. La Repubblica sudamericana diventerà insomma, da questo momento in poi, il ‘refugium peccatorum’ del controverso hacker australiano da ormai quasi due anni impegnato in una fuga senza sosta.

La questione ha reso a dir poco rovente lo scontro diplomatico tra l’Ecuador e la Gran Bretagna, determinata a portare a termine il processo di estradizione di Julian Assange in Svezia in virtù di una legge del 1987, il Diplomatic and Consular Premises Act, in seguito al quale la polizia potrebbe entrare nella sede diplomatica e arrestarlo. Per l’autore di WikiLeaks, che nell’estate del 2010 fece esplodere il ‘cablegate’, si tratta di “una vittoria significativa” e, subito dopo aver saputo della decisione del presidente dell’Ecuador, Rafel Correa, ha dichiarato: “Non è stata la Gran Bretagna o il mio paese, l’Australia, che mi hanno difeso dalla persecuzione ma una nazione latino-americana coraggiosa e indipendente”. Ma anche tremendamente illiberale, verrebbe da aggiungere.

Sì, perché il paradosso cui si faceva accenno prima sta proprio in questo: quello che si erge come paladino della libertà di stampa e dell’informazione globale e che denuncia la “caccia alle streghe negli Usa” avrà come quartier generale il paese dove “chi offende i funzionari governativi” – giornalisti in primis – rischia le manette “da tre mesi a due anni”. Non solo. Il governo risponde alle critiche obbligando le tv ad interrompere i programmi trasmettendo le cosiddette “cadenas” delle pubblicità propagandistiche. Basti pensare, che secondo l’ong locale Fundamedios dal 2008, 18 giornalisti, direttori o editori, hanno subito questo trattamento perché ritenuti scomodi dal presidente Correa. Ed è proprio per questo che, nel suo rapporto 2012, lo Human right watch ha denunciato il Paese sudamericano per il pugno di ferro contro la libertà di stampa e di espressione.

Un habitat in cui si riesce davvero a fatica a immaginarsi un Julian Assange impegnato a portare avanti la sua spietata crociata a favore della trasparenza dell’informazione globale. Ma assume toni ancor più paradossali la piena “soddisfazione” espressa dell’organizzazione che vigila sulla libertà di stampa nel mondo, Reporters sans Frontieres (RSF), per la decisione dell’Ecuador di dare asilo all’hacker australiano. Toni paradossali se non assurdi visto che sul sito ufficiale dell’organizzazione una sfilza di articoli (alcuni risalenti anche al luglio di quest’anno) fanno emergere non troppa “soddisfazione” per la situazione nella Repubblica sudamericana.

Ringraziando lo staff dell’ambasciata che lo ha ospitato per quasi due mesi, il fondatore di WikiLeaks, ha dichiarato: “Adesso le cose diventeranno più stressanti”. E c’è da crederlo. Visto che avere in casa uno che ha spiattellato i segreti delle ambasciate di mezzo mondo su internet non deve essere il massimo della tranquillità. Soprattutto per un Paese come l’Ecuador…