Parigi prende il testimone nella guerra infinita al terrorismo islamico

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Parigi prende il testimone nella guerra infinita al terrorismo islamico

19 Gennaio 2013

L’errore prospettico in cui cadono la maggior parte degli osservatori allibiti dal “rigurgito neocoloniale” in Mali è figlio di un’interpretazione anacronistica del disordine globale emerso dopo l’11 Settembre. Ci si ostina a ragionare secondo schemi “francafricani”, si evocano i tesori energetici al confine tra Azawad e Libia – l’uranio che Parigi vorrebbe preservare avendo un’economia a trazione nucleare – si cercano spiegazioni novecentesche a questioni che del secolo scorso hanno il gusto vintage di una madeleine.

Sfugge l’alterità del Ventunesimo secolo. La Quarta Guerra mondiale, la guerra nel mondo islamico che per l’Occidente significa soprattutto lotta permanente al terrorismo e al dispotismo, il conflitto che ha come palcoscenico gli infiniti scenari di crisi mondiale aperti da Al Qaeda e dai suoi gruppi in franchising, non è mai stata accettata e continua ad essere puntualmente rimossa, pur essendo trascorsi oltre dieci anni dal suo deflagrare. Dall’Afghanistan alla penisola arabica fino all’Africa, il rizoma islamista prolifera nel suo apparente scollegamento: Mokhtar Belmokhtar, il “guercio” che ha guidato personalmente il raid contro l’impianto petrolifero in Algeria, risponde alla vecchia guardia qaedista non ai vertici locali di Al Qaeda nel Maghreb islamico, che evidentemente considerava troppo cauti e attendisti. E’ una catena di comando puzzle da ricominciare ogni volta sapendo che non potremo mai gettare uno sguardo completamente aperto su di essa. Il Jihad continua ad aprire i suoi blockbuster dell’odio per richiuderli quando non servono più e spostarsi altrove, in cerca di un altro stato fallito, fagocitando un’altra causa indipendentistica o sinceramente democratica, siano i Tuareg che rivendicano la propria autonomia o le primavere arabe. I vecchi schemi saltano, sussunti dal dinamismo della guerra santa che ha per obiettivo l’imposizione della legge coranica, ora e sempre, ovunque, in particolare dove ci siano interessi occidentali da colpire. 

L’America di Obama ha deciso di combattere questa battaglia con i droni e le operazioni speciali, guidando dietro le quinte, ma in Nord Africa, per esempio in Libia, il risultato del post-clintonismo è il caos imperiale come avvenne durante e dopo le Guerre nei Balcani. Essere “left behind” non è sufficiente per combattere un nemico concreto che occupa spazi, si radica in territori, addestra e finanzia cellule e bande ultraradicali: i nigeriani di Boko Haram, quelli delle stragi di cristiani nelle chiese, sono andati ad addestrarsi nel Mali spezzato in due tra ciò che resta di un governo sopravvissuto al colpo di stato dell’anno scorso e il nord nelle mani dei miliziani. Davanti alle “regole d’ingaggio” del Palazzo di Vetro, che sembrano fatte apposta per restare inapplicate, l’Articolo 51, la Risoluzione 2085, di fronte al vorrei ma non posso degli europei, Germania in testa, ci voleva un presidente francese socialista per fare i conti con la realtà. Un socialismo pericolosamente attratto dal pensiero "neocon", ha detto scandalizzato l’ex ministro degli esteri de Villepin. 

La presidenza Bush aveva già messo in agenda l’Africa Nord Occidentale come il secondo fronte della Guerra al Terrore combattuta in Iraq e Afghanistan. Dal 2004 Washington e i suoi alleati hanno cercato di far leva sui governi africani dell’area per dotarli di strutture militari al passo con la nuova guerra globale. Si è provato a organizzare manovre militari congiunte sperando che Ecowas diventasse una forza di peacekeeping buona a contenere l’insorgenza islamista. Non è stato sufficiente, come del resto le cancellerie occidentali avevano già sperimentato ai tempi della Somalia. Alcuni governi africani hanno sfruttato la situazione di crisi o magari l’hanno solleticata per spillare nuovi aiuti alle potenze occidentali, come sempre hanno fatto da quando il colonialismo è finito, lasciando dietro di sé un continente democraticamente alla deriva ed economicamente orfano. Quando è arrivato il momento, a intervenire è stata la Legione straniera sui carri armati come in un remake di Pontecorvo.

Per adesso i francesi reggono l’escalation, sfidano le milizie, anche se gli strateghi temono il complicarsi della situazione sul terreno. Cosa accadrà se e i 2.000 uomini di Ecowas non arriveranno in tempo o se l’esercito del Mali imploso dopo il colpo di stato alla fine dovesse trasformarsi in una mina vagante come furono i generali baathisti caduto Saddam? La Francia non è sola ma rischia di finirlo (l’operazione Serval costa diverse centinaia di migliaia di euro al giorno) e a quel punto Parigi vivrà come un deja vu la situazione di isolamento internazionale sperimentata dagli Usa dopo la liberazione dell’Iraq, la solitudine dell’America quando decise di rovesciare il regime gasatore di Saddam Hussein.

Per quanto s’invochi il realismo di Hollande pur di mitigare le somiglianze con l’interventismo democratico dei tempi di George W. Bush, nel dna del socialismo transalpino c’è il seme della equazione liberale tra difesa dei valori democratici e tutela dei propri interessi nazionali e di sicurezza interna. Durante la Guerra in Libia del 1911, i socialisti italiani erano tra i più inebriati fautori di quel Trust composto da grandi interessi finanziari, bancari, protagonismo politico e propaganda giornalistica che aveva per obiettivo la “modernizzazione” del Nordafrica. La Grande Proletaria di Hollande si è mossa.

Il megasequestro nell’impianto petrolifero algerino è un atto di guerra di una gravità inaudita a cui i mezzi di comunicazione occidentali non hanno dato fino adesso il giusto risalto. Non bisogna fasciarsi ipocritamente la testa se le forze speciali di Bouteflika – maturate combattendo prima il GIA e poi il Gruppo Salafita per la preghiera e il combattimento – usano il pugno d’acciaio contro i sequestratori. Il male va sradicato, senza tregua. Il 63% dei francesi fino a questo momento è d’accordo con Hollande. Almeno in patria, il presidente ha degli alleati nella guerra contro il “regno del terrore”, come l’ha chiamato l’anno scorso. Non è poco come sostegno.