Chi considera la Fiat un aguzzino, ha mai visitato Pomigliano?
05 Novembre 2012
L’ultimo capitolo del tormentone Fiat è noto: una Corte d’Appello ha confermato il giudizio di primo grado imponendo al Lingotto di prendere in carico 19 lavoratori iscritti alla Fiom allo scopo di riequilibrare, con un primo intervento (il Lingotto dovrà assumerne, a regime, 146), la composizione, sul piano dell’appartenenza sindacale, dell’organico dello stabilimento Giovambattista Vico.
L’azienda è pronta ad eseguire la sentenza (non può fare altrimenti anche se il caso è veramente singolare) ma ha avviato una procedura di mobilità per altri 19 dipendenti da svolgersi entro in termine dei 45 giorni previsti dalla legge. Apriti cielo: siamo tornati al tempo del <dalli a Marchionne!>.
Subito si è riaperto nel confronti della Fiat il solito clima di aggressione da parte dei media, dei sindacati e dei partiti, tutti protesi a denunciare l’azienda di comportamento antisindacale, come se non ci fosse neppure bisogno di attendere una pronunzia giudiziale, dal momento che i giudici fino ad ora si sono pronunciati soltanto sul caso Pomigliano. Tutti sappiamo che negli stabilimenti italiani della Fiat è in corso, da anni, una guerra combattuta con ogni mezzo a disposizione.
La Fiom, non avendo né la forza né il senso di responsabilità per risolvere, nelle sedi proprie, un conflitto nato in sede sindacale, ha intrapreso una vera e propria offensiva giudiziaria contro il Lingotto, il quale reagisce come gli è consentito dalla legge, visto che non gli si può negare un elementare diritto alla difesa nei confronti di un avversario implacabile che agisce sempre meno come un sindacato e sempre più come un movimento politico che vuole diventare il punto di riferimento della sinistra più radicale e <gruppettara>.
Così, nessuno può sostenere, ad esempio, che sia illegittimo il ricorso all’articolo 19 dello statuto dei lavoratori per quanto riguarda il riconoscimento delle rappresentanze sindacali aziendali o che consista in una violazione di legge dare corso ad una procedura di mobilità se un imprevisto determina, in un’organizzazione produttiva, un incremento non previsto degli organici. Sarebbe opportuno che tutti coloro che stigmatizzano la linea di condotta di Sergio Marchionne, arrivando semplicisticamente alla conclusione che si tratti di un comportamento antisindacale, riflettessero su taluni aspetti di indubbio valore giuridico.
Immaginiamo che un’amministrazione pubblica bandisca un concorso per l’assunzione di dieci persone, espletato il quale sia formulata la graduatoria dei vincitori e degli idonei. Supponiamo che l’undicesimo nella graduatoria ricorra al Tar, prima e al Consiglio di Stato, poi, il quale, finalmente, gli dia ragione e certifichi che il decimo posto in graduatoria spettava a lui. L’amministrazione, magari a distanza di mesi se non di anni, è tenuta ad assumerlo in sostituzione dell’altro, il quale purtroppo perde il posto; evita soltanto di dover restituire le retribuzioni percepite perché comunque ha svolto, in via di fatto, la prestazione. Si dirà che l’esempio non è calzante nel mondo privato, dove non si accede per concorso ai sensi della Carta Costituzionale. Bene. Parliamo, allora, di licenziamenti collettivi nel comparto privato.
L’azienda che ha l’esigenza di ridurre il personale deve seguire una procedura – dapprima prevista da un accordo interconfederale poi rivisitata dalla legge n.223 del 1991 – consistente in un esame congiunto in sede intersindacale che può concludersi con un accordo e con un verbale di mancato accordo, in seguito al quale le parti riprendono la loro libertà d’azione. L’azienda può ricorrere ai licenziamenti ma è tenuta a rispettare taluni criteri di scelta dei c.d. esuberi, la cui violazione può essere impugnata ai sensi dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Anche in questo caso i dipendenti in grado di dimostrare che i criteri di individuazione non sono stati rispettati per quanto li riguarda vengono reintegrati nel posto di lavoro. Secondo una giurisprudenza consolidata, tuttavia, il datore può licenziare al loro posto altri lavoratori in conformità con i criteri previsti, senza che l’iniziativa dia luogo, di per sé, ad un comportamento antisindacale.
Insomma, nessun giudice fino ad ora si era intromesso in una materia delicata, di esclusiva pertinenza dell’azienda, come quella di stabilire l’organico di uno stabilimento. Ma, poi, quelli che trattano la Fiat come un aguzzino, che l’accusano di discriminazione sindacale e soprattutto di non effettuare gli investimenti promessi, hanno mai visitato lo stabilimento Giovambattista Vico? Almeno facciano lo sforzo di leggere il servizio di Diodato Pirone de Il Messaggero (‘Partecipazione e fatica calcolata on line: così si lavora nella fabbrica laboratorio’ apparso sul quotidiano del 3 novembre scorso) che racconta come stanno davvero le cose a Pomigliano d’Arco. Lo sanno gli italiani che il 7 novembre quello stabilimento sarà premiato come la migliore fabbrica europea dalla rivista ingegneristica tedesca AutoProduktion?