Pesca. Cosa dice l’Europa, cosa può fare l’Abruzzo
27 Gennaio 2013
Nel dicembre scorso a Bruxelles si è deciso di ridiscutere la politica comune della Pesca (PCP) e in questa settimana l’attenzione della presidenza di turno irlandese si concentra sulla riforma di un settore che per eccesso di regolazioni e sotto il peso della crisi rischia di pagare un tributo molto pesante in termini di occupazione e profitti.
Si parlerà di molte questioni come il trasporto marittimo, il turismo, l’ambiente, e per l’Abruzzo è strategico far partire subito la progettazione relativa ai programmi Ue sulla macro-regione adriatica da presentare nel 2014. Le rotte turistiche verso la Crozia sono un’occasione per il settore, così come sul tappeto c’è l’operazione del dragaggio del porto di Pescara che finalmente, con l’appalto concesso alla SIDRA, dovrebbe partire durante il mese di febbraio (l’azienda si è impegnata a concludere i lavori 40 giorni prima del previsto).
La regione Abruzzo, le marinerie, le associazioni di categoria, le amministrazioni locali, il Ministero dell’Agricoltura si stanno muovendo per venire incontro alle esigenze dei pescatori, attraverso contributi alle imprese che operano nella regione e cercando soluzioni ai problemi più gravi, come l’aumento del costo dei carburanti e delle materie prime e un prelievo fiscale troppo alto. Una richiesta che viene fatta è di anticipare il "fermo pesca" in modo di permettere agli addetti del settore di lavorare in un periodo più favorevole e competitivo dell’anno.
Il mondo della pesca viene spesso raccontato in termini romantici, quando invece necessita di un profondo ammodernamento, di investimenti mirati e di un concetto non limitante di “sostenibilità”. L’Unione Europea ha da anni l’obiettivo di sfruttare in modo sostenibile le risorse marine e di ripopolare gli stock ittici "depredati". Presto la Commissione Pesca dovrà presto elaborare i piani pluriennali (MAP) che definiscono il quanto e il come degli stock pescabili.
La Regione Abruzzo è pronta a finanziare anche grazie al Fondo europeo per la pesca le flotte che intendono razionalizzare le operazioni di pescaggio, la modernizzazioni delle tecnologie utilizzate (per evitare le “catture accessorie” e favorire la selettività), la sicurezza dei lavoratori, i processi per migliorare la qualità e l’igiene del pescato. Il governo italiano va nella stessa direzione con la stipula del recente accordo tra il Ministro Clini, Fao e Unioncamere per monitorare le economie locali, difendere e salvaguardare le aree protette. L’idea del governo è una “strategia marina” che sulla scorta delle indicazioni di Bruxelles possa dare dei risultati positivi a livello locale.
Ma va fatta qualche considerazione sulle politiche comunitarie legate al mondo della pesca. Per molti anni, gli obiettivi che ci si era posti non sono stati raggiunti per una serie di ragioni molto complesse ma che possiamo riassumere brevemente in cinque punti. Una piccola agenda per chi, a livello amministrativo, nel mondo politico ed economico, volesse confrontarsi con la riforma in corso a Bruxelles.
L’eccessiva centralizzazione e il peso delle burocrazie europee nel “management” di tante micro-situazioni diverse che vanno dal Mare del Nord all’Adriatico impedisce di trovare risposte mirate alle esigenze delle comunità locali dei pescatori. In questo senso, la politica, a livello locale e nazionale, dovrebbe spingere per ottenere una maggiore flessibilità delle direttive in modo tale da mettere i pescatori nelle condizioni giuste per affrontare crisi e cambiamenti.
In secondo luogo, va riformato il sistema degli “stock ittici” che a dispetto di decenni di controlli continua a registrare una overproduzione delle maggiori specie pescate (entro un decennio la situazione diventerà insostenibile). Le “quote” nazionali hanno privilegiato alcune nazioni europee, come Spagna e Danimarca, a discapito di altre, e nello stesso tempo i grandi player industriali rispetto alle piccole comunità dei pescatori.
Terzo punto, il rapporto con gli altri Paesi extraeuropei che negli ultimi anni hanno scontato un atteggiamento a volte “predatorio” da parte delle flotte dei Paesi dell’Unione.
Quarto, fondamentale, la questione degli scarti. La UE costringe i pescatori a rigettare in mani milioni di tonnellate di pesce troppo piccolo, di specie che non possono essere pescate, “over-quote”. Secondo uno studio della FAO, nel Mare del Nord i “rigetti” corrispondono a 1,3 tonnellate all’anno, il 13 per cento del pescato. E’ uno spreco enorme che andrebbe eliminato, una questione su cui costruire una seria battaglia con l’appoggio delle comunità dei pescatori, le ong ambientaliste, le istituzioni a livello locale e nazionale. Va ricordato che nel marzo del 2011 la commissione europea si era già riunita in sessione straordinaria a Bruxelles per definire una progressiva eliminazione dei divieti di scarto. Occorre continuare su questa strada.
Quinto e ultimo punto, forse la novità maggiore nella riforma che si sta preparando a Bruxelles per gli effetti che potrebbe avere sulle comunità locali e l’industria della pesca, è l’introduzione di un sistema parzialmente “privatizzato” delle quote (Individual transferable quotas – ITQs), di cui si parla poco sulla stampa ma che può favorire il libero mercato e la concorrenza.