Il primo guaio di Obama è un drone
08 Novembre 2012
Le anime belle dell’Huffington Post non hanno perso tempo a dare la prima dolce picconata da sinistra al rieletto presidente Obama, pizzicandolo sulla guerra coperta dei droni condotta dalla Amministrazione nello Yemen piuttosto che in Pakistan. Giornali tendenti al left come la rivista Slate hanno denunciato il fatto che non sempre è chiara la differenza fra target qaedisti e civili disarmati, messi comunque nel conto delle "vittime collaterali". A 48 ore dal voto, infine, si discute sull’incerto quadro normativo che circonda la guerra dei droni.
In realtà, colpire dall’alto sta dissanguando gli stati maggiori islamisti, dimezzati per esempio nello Yemen. Il Presidente-drone si è rivelato un avversario implacabile per i burattinai del terrore, decapitando il vertice della Base. Il rischio però è che con il passare del tempo e delle incursioni si alimenti un’altra retorica, non quella parapaficista della stampa amica, ma quella binladesca sugli americani che hanno il predominio dei cieli perché troppo codardi da combattere sulla terra. Gli Usa "gigante di carta", un refrain che ha sempre successo nelle masse più fanatiche e diseredate, perfette per cadere nella trappola della propaganda jihadista.
Il rischio è confermato da una notizia delle ultime ore. Un drone americano è stato ripetutamente attaccato dai caccia iraniani nello Stretto di Hormuz, uno dei punti più caldi e instabili del pianeta, crocevia dei grandi traffici petroliferi che i mullocrati guardano come a un boccone ghiotto. Il primo mandato del Presidente democratico era iniziato con la "mano tesa" a Teheran. A quattro anni di distanza, l’aviazione militare iraniana spara su quella americana. Gli alleati di Washington nel Golfo chiedono di intervenire. La reazione si farà attendere.