L’Unità riabilita Togliatti, ma i conti con Stalin non tornano
01 Agosto 2007
Togliatti riabilitato? L’Unità ne è
fermamente convinta (la tesi è sostenuta in un articolo di Bruno Gravagnuolo
del 18 luglio) e a averlo fatto sarebbero nientemeno che Elena Aga Rossi e Victor Zaslavsky, nella
riedizione aggiornata del loro Togliatti
e Stalin, edito dal Mulino. Se così fosse sarebbe una notizia bomba perché
furono proprio i due studiosi nel 1997 a seppellire sotto il peso di documenti
inconfutabili la mitologia coltivata da
gran parte della storiografia italiana sulla svolta di Salerno: una
scelta autonoma del leader del Pci, il primo atto che
testimoniava la non subalternità di questo partito nei confronti di Mosca. Ad
una lettura attenta del volume, però, appare chiaro che Aga Rossi e Zaslavsky,
piaccia o no, non riabilitano proprio nessuno. Si sono limitati a riconoscere in un’intervista che il
convinto stalinista Palmiro Togliatti era più moderato e meno tetragono di
Pietro Secchia. Se questa ammissione, del resto abbastanza scontata, è una
“riabilitazione”, vuol dire che l’Unità
si accontenta ormai davvero di molto poco. In una conversazione con chi scrive
nel 1997, Vitctor Zaslavsky, dopo aver sostenuto l’assoluta dipendenza di
Togliatti dalle decisioni di Mosca, definì il segretario del Pci più intelligente e capace
di Thorez. Era anche quella una riabilitazione%3F La verità è che L’Unità e Gravagnuolo si
arrampicano sugli specchi. E che – come dice con nettezza Elena Aga Rossi –
“noi non abbiamo cambiato il nostro giudizio come può verificare chiunque legga
il nostro saggio”.
Ed in effetti è proprio così. Anzi, le valutazioni già
espresse sulla svolta di Salerno e sul Migliore
si approfondiscono e si rafforzano
alla luce della nuove carte che i due studiosi hanno consultato e che
analizzano nella più recente edizione del loro libro. Innanzitutto ci sono due
documenti, l’uno del gennaio e l’altro del febbraio 1944, in cui Togliatti
esprime una linea opposta a quella della svolta
di Salerno. Il primo, che s’intitola bozza
di risposta ai compagni italiani, redatto insieme a Dimitrov e inviato a
Molotov, sostiene che occorre schierarsi a favore di un governo Sforza e non
del governo Badoglio, e appoggia la richiesta di abdicazione del re.
Il secondo documento, vergato dal Migliore,
è ancora più netto del precedente. Eccone alcuni passaggi: “I comunisti
chiedono l’abdicazione del re, in quanto complice della costituzione del regime
fascista e di tutti i crimini di Mussolini, e in quanto centro di unificazione,
nel momento attuale, di tutte le forze reazionarie, semifasciste e fasciste che
oppongono resistenza alla democratizzazione del Paese e coscientemente sabotano
gli sforzi di guerra dell’Italia… I comunisti … rifiutano di partecipare
all’attuale governo e denunciano nella politica di questo governo un ostacolo a
una vera partecipazione del governo italiano a una guerra contro la Germania”.
La posizione di Togliatti è questa sino alla notte del 4
marzo del 1944 quando viene ricevuto da Stalin.
Nel corso di quel colloquio, durato 45 minuti, di cui racconta Dimitrov
nei suoi diari, il dittatore sovietico suggerisce al Pci di abbandonare per il
momento la richiesta di abdicazione del re e di entrare nel governo Badoglio. Afferma
testualmente: “ Per i marxisti la forma non ha mai un significato decisivo.
Decisiva è la sostanza della questione. Il re non è peggiore di Mussolini. Se
il re va contro i tedeschi, non c’è motivo per chiederne l’immediata
abdicazione”. Ed è proprio questa strategia, indicata da Stalin, che Togliatti
porterà avanti appena sbarcato a Salerno, accantonando senza colpo ferire tutte
le cose precedentemente scritte.
Accanto a queste
conferme sulle origini della svolta, la riedizione
del saggio di Aga Rossi e Zalaslavsky contiene alcune significative novità. “Si
può forzare”? E’ questo l’interrogativo che Togliatti pone a Stalin alla fine
del 1949, intendendo con ciò la possibilità di una rottura rivoluzionaria. La
risposta è netta: “Impossibile”. Questa
conversazione viene riportata negli appunti, vergati direttamente dal Migliore, ritrovati dai due studiosi e
sino ad oggi mai interamente pubblicati, e testimonia come è da Mosca che venga
continuamente lo stimolo alla prudenza e alla cautela nella situazione
italiana. Anche Togliatti probabilmente era convinto che questa fosse la via da
battere, ma chiedeva l’opinione di Stalin per poterla usare nella battaglia
interna al partito contro l’estremismo di Secchia.
La verità è che allora, non poteva esistere alcuna autonomia del Pci da Mosca. E del
resto sino alla rottura del 1956, l’Urss aveva un suo entusiasta sostenitore
anche in Pietro Nenni. I leader del
comunismo occidentale erano solerti esecutori delle decisioni di Giuseppe Stalin. Togliatti le attuò con intelligenza e con prudenza.
Tutto qui. Zaslavsky e Aga Rossi confermano la loro tesi che nel 1997 provocò
dure polemiche da parte degli storici italiani e in particolare da parte degli
storici comunisti. A cambiare giudizio, e di molto, sono stati questi ultimi.
L’Unità se n’è accorta?