“Per Marilyn maturare e morire è stato un atto unico”

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“Per Marilyn maturare e morire è stato un atto unico”

02 Dicembre 2012

Lo scorso 30 ottobre è stata inaugurata a Roma la mostra "PPP. Una polemica inversa. Omaggio a Pier Paolo Pasolini", a cura di Flavio Alivernini. L’esposizione è tuttora in corso a Palazzo Incontro (Via dei Prefetti 22) ed è visitabile sino al 9 dicembre. Come è già stato largamente ribadito dalla stampa nazionale, si tratta di ventidue artisti che rielaborano l’opera poetica del poeta di Casarsa. Dalle Ceneri di Gramsci alla Religione del mio tempo, Marilyn, Poesia in forma di rosa, Trasumanar e organizzar.

E nella rappresentazione di queste poesie si sviscerano diverse tematiche: la morte di uno scrittore, le ambizioni del sottoproletariato romano, il contrasto fra la Roma del popolo e la capitale della cristianità, ed ancora la scomparsa di Pasolini filtrata alla luce della storia e infine il tramonto della bellezza. La sezione dedicata a Marilyn è stata curata da due artisti eccezionali che hanno affrontato in parallelo l’elaborazione della stessa poesia in toni del tutto dissimili. Laura Canali artista e cartografa di Limes ha riprodotto il soffio poetico pasoliniano nella sua opera La radice dell’essenza ideata proprio nel 2012. L’opera di Franco Gulino, Pasolini, realizzata nel 2006 completa la sezione. Si tratta di un eccentrico ritratto pasoliniano in cui l’esteriorizzazione della sensualità è radicale, orientata all’appagamento del piacere altrui (‘Il mondo te l’ha insegnata così la sua bellezza divenne sua’) attraverso un travestimento femminile, fatale dove all’eccesso del trucco cosmetico, rivelato da un fard sgargiante, si sovrappone un imbarazzo tradito da uno sguardo instabile.

Mentre in contrasto l’opera della Canali assume toni eterei già a partire dal titolo stesso La radice dell’essenza sulla quale Laura indaga nel tentativo di plasmare una sublimazione, una protezione della figura di Marilyn. Il pennello scende dolce e fermo sulla tela come se fosse realizzato dall’artista con premura materna emanando, nell’intento stesso di attingere alla radice, un’aura di misticismo. Gli elementi formali sembrano plasmarsi da atmosfere spirituali che si stemperano nelle sinuosità, i colori, le geometrie. Non è semplice un approccio intellettuale, artistico, emotivo alla figura di Marilyn: eccessivamente iconizzata rischia sempre un grosso margine di banalizzazione.

E non solo Pasolini nella sua opera poetica ne custodisce con dignità e amore il ricordo della persona ma pone a simbolo Marilyn di un mondo che va tramontando, quello che denomina come stupido mondo antico, un lessema svilito che vorrebbe evidenziare l’ingenuità del vecchio mondo, quello dei valori incorruttibili pregnanti di un’etica sana, in contrasto con quella del feroce mondo futuro in cui la bellezza è sopraffatta dal potere, dalla violenza. Marilyn non è altro che il tramonto della bellezza, quella priva di pudore di un piccolo ventre facilmente nudo, dell’incoscienza. Marilyn incarna la bellezza sopravvissuta dal mondo antico sacrificata al compromesso stretto di un presente crudele che l’ha sottratta alla vita conducendola oltre le porte del mondo. Ed è così che è finalmente protetta e la sua essenza è salva. Laura Canali ha rielaborato artisticamente nella sua opera La radice dell’essenza i versi della commovente poesia Marilyn. Abbiamo intervistato la Canali a margine della mostra.

Laura, come hai pensato Marilyn durante la realizzazione dell’opera?

Marilyn è una donna dalla femminilità estrema, a cui è mancato l’amore primordiale su cui si basano le esistenze equilibrate. La bellezza di Marilyn maniacalmente voluta, inseguita, ottenuta è rimasta infantile, ingenua, alla mercé altrui. Maturare e morire è stato un atto unico. Diventare adulta all’improvviso, accorgersi delle macerie tutt’intorno, vivere era la strada più difficile. La morte dà pace al tormento, è più rassicurante in confronto alle moltitudini di uomini che vorrebbero afferrare chi non è afferrabile. Pasolini capisce la spontaneità di Marilyn, capisce le sue radici, la sua storia. Anche lui ha ingoiato molte lacrime. Capisce la naturalezza noncurante di Marilyn, ne afferra la solitudine e accusa il mondo di durezza e d’incomprensione. Marilyn e Pasolini hanno ricordi dolorosi. Sono sopravvissuti al loro passato. Questo è il loro punto di contatto, avere in comune il dolore del non amore. Cercare sempre di essere amati offrendo se stessi.

Marilyn, come ama dire Pasolini, sparì, come un pulviscolo d’oro. Forse è già in questo verso che ne hai individuato l’essenza?

Sì. E’ nella sopravvivenza dello sguardo dolce, incredulo e sensuale di Marilyn. La sua essenza brilla ancora, certo, per chi vuole vedere. Questo è ciò che rimane, la sua parte migliore e il rimpianto di non aver capito in tempo.

Una poesia rielaborata attraverso la pittura. Una creazione ex novo. Una nuova resa artistica. Quali aspettative hai riposto nella rappresentazione e cosa hai ritrovato a lavoro compiuto? Paul Klee diceva che la pittura è come una passeggiata nel bosco, quando il pennello è sulla tela non si sa bene dove si va a finire…

La pittura è per me un’estensione del mio lavoro di grafica. Un esubero di sentimenti e di forza creatrice che necessita il suo spazio. Quando dipingo non ho aspettative: è come un angolo indipendente ma indispensabile per la mia persona e per il mio lavoro. Quando Flavio Alivernini mi ha offerto l’occasione di partecipare con una mia opera alla mostra sulla poesia pasoliniana, sono stata onorata di partecipare insieme a tanti grandi artisti e ho sperato di esserne all’altezza.

Cosa hai provato quando ti è stata affidata la poesia di Pasolini? Eri entusiasta o cosa?

Si. La poesia che è stata abbinata al mio lavoro l’ho amata subito soprattutto perché amo molto la figura artistica di Marilyn Monroe. Mi ha sempre fatto tenerezza. Non ho mai pensato fosse una donna debole ma sicuramente una donna con grossi problemi esistenziali triturata dalla realtà hollywoodiana.

Immagino che il primo elemento ispiratore per il tuo lavoro sia stato l’aspetto estetico di Marilyn.

Pensando all’opera da produrre ho cercato di focalizzare la bellezza perché era la parte più creativa di Marilyn. La cosa alla quale teneva di più e che ha lasciato in eredità. Ma come interpretare la sua bellezza? Questa è stata la domanda che mi sono posta tante volte, prima di iniziare a disegnare. Ho guardato e riguardato le immagini di Marilyn, ho cominciato disegnando le lunghe ciglia ma ho notato subito che qualsiasi parte del suo corpo, anche isolata dal resto, era immediatamente riconoscibile, ogni centimetro della sua figura è impressa nelle nostre menti. Allora ho pensato a qualcosa che evocasse la bellezza, almeno per me, a qualcosa di fluido, morbido, che si espandesse, come l’odore che lasciamo camminando, ho cercato l’odore della femminilità.

Come hai rappresentato la radice dell’essenza di Marilyn?

Una rappresentazione più sottile in alcuni punti, in altri, invece, si apre e si espande per riprendere la sua strada verso nuove forme. Questa parte la identifico con la radice di Marilyn quella che è stata in vita. La sua vita insinuata dal mondo della politica e dello star system che ho voluto rappresentare con quel grappolo di triangoli in basso a sinistra che spinge verso le curve di Marilyn, curve senza una vera direzione, che si innalzano spontaneamente, in modo originale e puro, esattamente come la descrive Pasolini nella poesia. Mentre dipingevo sentivo il colore che mi chiamava, voleva per forza spingersi fuori. Tanti colori forti. Vitali, ben miscelati. Certo le zone blu e nere erano indispensabili per far risaltare i colori femminili dell’anima centrale dell’opera. Poi in alto a destra c’è quella che io chiamo essenza. Quel disegno bianco, dal tratto regolare ma sinuoso che vorrebbe rappresentare solo il bello che di Marilyn ci riempie gli occhi. La sua bellezza da bambina, genuina, un po’ infantile. Pensando a tutti questi aspetti di Marilyn mi sono un po’ immedesimata. Soprattutto nel tormentoso desiderio di amore che lei aveva. Come se elemosinasse. Ho avuto una terribile comprensione per questa donna che non conosceva e che forse non ha mai conosciuto l’amore.

Un’aura mistica sembra possedere la tua opera. Un blu che ricorda quello spirituale di Kandinskij. Un blu quasi di redenzione a proteggere l’essenza. Quali sono i tuoi modelli pittorici?

Sicuramente il mio modello artistico è Kandinskij. Amo molto il processo mentale che lo ha portato all’astrazione. Il distacco dalla pittura naturalistica è stato un passaggio estremamente creativo e soprattutto innovativo. Ha aperto la strada al mondo interiore nella pittura. Molto affascinante.
Un altro riferimento artistico è Pablo Picasso. La quantità di opere da lui create è impressionante. Amo molto le forme dei corpi da lui realizzate, così sproporzionati e particolari come la donna che si affaccia alla finestra con la candela in mano nel famoso dipinto Guernica. La sensibilità di Picasso è profondissima e analitica, sperimentale e molto grafica.

La tua opera sembra essere del tutto antitetica a quella di Franco Gulino, Pasolini. I vostri lavori in questa sezione creano un binomio estremo. Dalla purezza al disagio del compromesso.

Sono molto colpita dalla differenza della mia opera con quella di Gulino. Ma se è per questo anche con molte altre. La differenza oggettiva è l’aspetto sessuale molto forte nel suo dipinto mentre nel mio c’è un approccio diverso, più legato alla femminilità.

"La radice dell’essenza" sembra diversificarsi dal complesso per l’eccesso di colore e per l’astrazione delle forme. Che tipo di strumento è per te il colore in pittura?

E’ come una musica lieve, è una mia necessità interiore. Non riesco proprio a pensare senza colorare. Invece, già da molti anni, il colore è un po’ fuori moda. Certo in questo momento storico potrebbe sembrare fuori luogo la positività di un lavoro colorato ma non è così semplice. Certe volte penso di essere chiassosa e poco raffinata e forse è proprio così ma la mia spinta creativa è molto forte e desiderosa dei suoi colori, tutti quanti.

Citando Tolstoj, l’arte comincia quando l’uomo, nell’intento di trasmettere ad altri una sensazione da lui provata, la resuscita in sé e la esprime con certi segni esteriori.

Difatti, le mie forme escono dal mio stato d’animo, libere di esprimersi, mi lascio guidare dall’istinto e cerco di riempire le mie forme con i colori giusti. Non amo usare spesso il colore nero perché evoca tristezza e angoscia troppo facilmente, è il colore del lutto, prediligo il blu scuro, il blu va in profondità, ti ci puoi perdere dentro. Ci puoi trovare tutto o niente dipende da cosa ti arriva guardando la forma che lo contiene. Non amo le sfumature, mi piacciono i colori piatti. Le sfumature e la tridimensione si avvicinano troppo al mondo reale.

L’uso del colore nelle tue produzioni è un’energia che vuole innescare in qualche modo una spinta emotiva nell’osservatore?

Penso che dovremmo impiegare energia per attraversare questo momento storico pesante. Molta forza e cercare di trasmetterla per questo penso che non bisogna compiangersi ma mettersi in gioco, uscire dall’uniformità del nero, beige, grigio. Siamo immersi in una crisi economica difficilissima, un sistema sociale disperato, urge trovare nuove risorse, non si può più aspettare.