Bambini contro “Ombrina Mare”, ma non è colpa loro

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Bambini contro “Ombrina Mare”, ma non è colpa loro

18 Giugno 2013

Guardate questo video, girato il 30 maggio scorso. Si vede un gruppo di piccoli alunni delle scuole di San Vito Chietino e Rocca San Giovanni, in Abruzzo, ribellarsi tra serio e faceto alla costruzione dell’impianto petrolifero Ombrina Mare che dovrebbe sorgere al largo delle coste adriatiche. I ragazzini spiegano di aver prodotto il video per "capire" la natura del progetto, declamano canzoncine No Oil, ripetono una lezione imparata per bene – basta sentire il tono di alcuni di loro – contro le trivellazioni . Fanno tenerezza ma quello che ci interessa sottolineare è un fatto grave per il loro percorso di crescita.

La formazione primaria ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della persona umana e questi giovanissimi diventeranno grandi sedimentando una malintesa idea di sviluppo sostenibile fondata sulla totale eliminazione delle fonti fossili. Quando invece sappiamo dagli studi scientifici più recenti che la soluzione ai problemi energetici dell’Italia verrà sempre di più dal mix energetico. Tra il fossile, che non è certo destinato a sparire nel giro di qualche decennio, e le fonti rinnovabili, il cui uso cresce ma non tanto da renderle protagoniste dell’approvvigionamento, si gioca e giocherà quindi una partita delicata e complessa. Impressiona quindi, per approssimazione e semplificazione, l’apparato "didattico-multimediale" utilizzato nel video, forse con la scusante che è opera di bambini.

Si va dal naufragio della petroliera Haven nel ’91, uno dei più gravi incidenti nella storia marittima del Mediterraneo, all’affondamento della piattaforma Paguro nel 1965. Gli incidenti petroliferi possono verificarsi, accadono periodicamente e nessuno può contestarlo, ma andrebbero ricostruiti come si deve. La Haven, alla fine degli anni Ottanta, venne colpita da un missile iraniano nel Golfo Persico, riportando danni gravi allo scafo; dopo le riparazioni affrontò un solo viaggio, fino a Genova, al largo della Liguria dove sarebbe accaduto l’incidente. Altre superpetroliere della stessa classe della Haven tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta affondarono tra Bretagna, Mauritania e Sierra Leone. Innalzando i paletti della sicurezza incidenti del genere forse potevano essere evitati.

L’incidente del Paguro non ha certo distolto l’amministrazione pubblica dell’Emilia Romagna dai suoi piani di estrazione petrolifera al largo dell’Adriatico. Sarebbe stato utile ricordare ai ragazzini che attualmente la zona dell’incidente è diventata un’oasi biologica, un sito di interesse comunitario, a dimostrazione che anche di fronte ai più gravi incidenti uno Stato moderno sa come reagire per gestire le crisi. Va aggiunto, come riportato dal Corriere della Sera di oggi, che l’Emilia Romagna ha la migliore qualità delle acque marine, secondo il Rapporto sulla Balneabilità stilato dal Ministero della Salute. La Regione italiana con il maggior numero di piattaforme offshore, dunque, all’incirca una cinquantina (4 volte più che in Abruzzo), è quella con il mare più pulito. A dimostrazione che l’allarmismo su inquinamento e piattaforme a mare è infondato. Quanto costa l’oscurantismo ambientalista al marketing territoriale abruzzese? Gli esperti parlano di "de-marketing" per dire che campagne del genere influenzano negativamente le già impoverite economie turistiche locali.

In un’altra slide del video realizzato dagli studenti si vedono apocalittici scenari prefigurati dal WWF su quello che accadrebbe in Adriatico nel caso di uno sversamento petrolifero. Si prende a modello il disastro nel Golfo del Messico (dove per inciso si è ripreso a trivellare, nel solco dell’autosufficienza energetica tracciato dalla Amministrazione Obama), ma paragoni del genere sono fuorvianti: la pressione alle pompe in Adriatico non è paragonabile a quella nell’Oceano Atlantico, come pure la profondità alla quale sorgerebbe Ombrina Mare. Ragionando in modo obiettivo, gli insegnanti avrebbero dovuto dare al massimo un "discreto" agli alunni, apprezzandone l’impegno e il volontarismo, ma bocciando gran parte dei contenuti presenti nel video che sono unidirezionali e fortemente opinabili. Diciamo "gli insegnanti" perché alla fine del video alcuni adulti si affiancano agli studenti. Anche loro ripetono la filastrocca del No ma hanno uno sguardo più smaliziato dei bimbi e ci chiediamo appunto se si tratti dei loro docenti. Dall’atteggiamento che hanno è evidente che non ci sia voglia di capire ma di mobilitarsi.

All’analisi critica dei fatti si sostituisce un pervicace convincimento ideologico, certamente più grave rispetto alla innocenza (tradita) degli studenti ("inquinazione", dice una bimba quando il compitino finisce e i ragazzi iniziano a parlare come mangiano…). Viene quindi da chiedersi com’è nata l’idea del video. E’ verosimile che un gruppo di giovanissimi studenti un giorno abbia deciso di riunirsi in un summit scolastico dove indagare sui pericoli provocati "dall’idrogeno solforato"? Lo spiega smaliziato uno di loro, neanche fosse un esperto geologo. Oppure i bimbi sono stati ispirati dai loro docenti nella realizzazione del video? E se fosse così, gli insegnanti, a loro volta, sono stati "sensibilizzati" da qualche manina dell’ambientalismo ideologico? Chiediamoci dunque se gli adulti in questione condividano fino in fondo la visione anticapitalistica espressa dal video, che sogna la fine dello sviluppo, la decrescita (in)felice, il mare bello e pulito mentre l’economia italiana affonda.

Chiediamoci perché in un’altra slide, tra gli esperti citati, spunti la onnipresente professoressa Maria Rita D’Orsogna, la stessa fonte "no-oil" che recentemente ha ispirato un autorevole editorialista del Corriere, Ernesto Galli della Loggia, nel dipingere un quadro dell’industria petrolifera italiana non molto dissimile da quello offerto dei bimbi abruzzesi… Su Facebook c’è già chi chiede il premio Nobel per la Pace per la D’Orsogna. Ovviamente nel video non si fa cenno agli effetti che avrebbe l’offshore dal punto di vista del risparmio energetico nazionale e alle sue ricadute occupazionali sul territorio, temi che i vari No Triv, No Tav, No Ilva, tengono premurosamente fuori dalle loro campagne perché susciterebbero interrogativi scomodi, ponendo delle contraddizioni al pensiero unico sull’ambiente. In una terra e in un’area, l’Abruzzo e il medio-basso Adriatico, dove lo sfruttamento petrolifero si è costantemente ridotto negli ultimi decenni – un’altro aspetto che andava ricordato ai ragazzi.

Chissà se i genitori dei bimbi sapevano cosa stavano "studiando" a scuola i loro figli e chissà se hanno fornito il loro assenso, si chiede l’onorevole Paolo Tancredi, vicepresidente della Commissione Politiche Comunitarie, in una interrogazione parlamentare depositata oggi alla Camera. Il problema infatti è come si forma una opinione, quanto questo processo avvenga liberamente, che ruolo gioca in Italia la lobby del comitatismo antitutto, in che modo essa interagisce e viene amplificata dai mezzi di informazione, dal web, dalle cinghie di trasmissione nelle istituzioni pubbliche, alimentando un monologo triste, antiscientifico e autoritario. Battiamoci, lo facciano le famiglie se hanno a cuore la libertà d’insegnamento, affinché metodi del genere vengano contestati nelle scuole. La scuola non deve avere la pretesa di raccontare  la "verità" bensì offrire un metodo a chi la frequenta: imparare a confrontare le versioni in campo, esercitare la propria capacità di giudizio, trovare una sintesi dialettica attraverso cui crescere diventando adulti consapevoli. L’alternativa – si pensi a quanto accade ad altre latitudini, non troppo lontane dall’Italia – è il "brainwashing", l’utilizzo di minori come preziosi testimonial nel processo di delegittimazione di questo o quell’avversario. Come Ombrina, "la piattaforma che uccide i pesciolini".