Bersani fa flop, un po’ come Hollande
28 Marzo 2013
Doveva essere l’onda lunga del cambiamento partito dall’America di Obama che in Europa avrebbe rinverdito i fasti del tramontato zapaterismo. La vittoria dei socialisti di Hollande in Francia e quella dei cugini italiani del Pd di Bersani in Italia avrebbero rimesso in pista vecchi socialdemocratici e new democrats. La strada maestra era stata tracciata dal Presidente americano, un nuovo interventismo propulsivo dello Stato in economia per smuovere il mondo occidentale dalla crisi e uscire dalla recessione. Solo che l’Unione Europea delle banche e della austerity non somiglia neanche un po’ al sogno americano o a quello che ne resta.
In Italia le sorti magnifiche e progressive della sinistra si sono infrante contro lo sberleffo grillino e la resistenza berlusconiana, con Bersani che oggi spera di convincere Napolitano a formare un governo. In Francia, per Hollande sono lontani i temi dello "chef d’armees" che visitava vittorioso il Mali salvato dall’insorgenza islamista. L’Express titola con un eloquente "La debacle", il partito socialista ribolle (come da noi), è il tema del lavoro che allontana i francesi dal loro Presidente. Dieci mesi dopo le elezioni, la Francia ha 3 milioni e 187 mila disoccupati, il peggior risultato dalla fine degli anni anni Novanta scrive il Corsera di oggi. Hollande in campagna elettorale aveva promesso di "invertire la curva" ma adesso ammette che bisognerà aspettare la fine del 2013, quando saranno disoccupati 11 francesi su 100.
La proposta di una tassa sui redditi milionari ha spaventato i capitali, non solo qualche attore miliardario. Poi è stata bocciata dal Consiglio costituzionale. Il modello obamiano della banca europea, dello sviluppo che avrebbe dovuto essere alternativo al rigore, per ora resta un sogno nell’Europa a tradizione tedesca. Emerge ormai in maniera incontrovertibile che la sinistra europea, per quanto si riempia la bocca di parole come sviluppo e lavoro, non è, non è stata in grado di comprendere la trasformazione dei processi produttivi successiva alla globalizzazione, né ha saputo interpretare come si stanno modificando, radicalmente, il tempo di lavoro e il concetto di valorizzazione capitalistica.
Il conservatorismo della sinistra tende se mai ad alimentare la divisione permanente tra lavoratori garantiti (per quel po’ di garanzie che restano) e l’esercito degli invisibili lasciati soli di fronte a una competizione senza opportunità, tra rigurgiti pseudo utopici sulle democrazie nordeuropee e la nostra realtà quotidiana, con le sue caste chiuse, il vecchiume delle relazioni sindacali, le università germe di inoccupazione. Intanto le generazioni dei senza lavoro si sommano, ventenni, trentenni ormai anche quarantenni. L’onda è diventata un rivolo limaccioso che, invece d’infrangersi sulla crisi, ne è stato sottomesso, pare definitivamente.