Massacro in Egitto, fallimento degli Usa e disgrazia per l’Italia
15 Agosto 2013
Forse non saranno i duemila morti denunciati dai Fratelli Musulmani, ma le centinaia di vittime in Egitto confermano che la situazione è sfuggita di mano. Non certo ai militari, che sono abituati a usare il pugno di ferro. E’ sfuggita di mano all’America, all’Europa, e nel nostro piccolo anche all’Italia. Abbiamo trascorso un giorno a guardare la guerriglia nelle piazze in tv, a contare i morti, compresi 3 giornalisti. Anche polizia ed esercito egiziani hanno pagato con il sangue, 43 vittime. Per non farsi mancare niente, la Fratellanza ha attaccato 22 chiese. L’Egitto rischia di diventare un fallimento per l’America di Obama.
Forse lo è già. I sogni di riforma pacifica del mondo arabo, abilmente edulcorati nel discorso di Obama al Cairo, ormai sembrano preistoria. Guardiamo all’oggi. Dopo il colpo di Stato dei militari e la deposizione di Morsi, gli Usa hanno fatto buon viso a cattivo gioco e non l’hanno chiamato come dovevano (colpo di stato). Poi, mentre chiedevano al nuovo uomo forte Al Sisi di andarci piano nella repressione, hanno confermato gli aiuti milionari all’Egitto che da decenni non mancano mai, chiunque sia al potere.
Adesso la Casa Bianca chiede di evitare altre violenze, ma ormai in Egitto è cresciuto un doppio antiamericanismo, quello religioso, dei Fratelli, che avevano creduto alla retorica democratica e si sono visti strappare di mano il potere, con Morsi ancora detenuto chissà dove. Quello laico, dei tanti che erano scesi in piazza Tahrir, da soli, con Obama che parlava senza intervenire. Adesso di elezioni e riforme costituzionali condivise neanche a parlarne, almeno per un anno. Noi abbiamo le larghe intese, in Egitto le redini restano in mano alle stellette.
Non che sia solo colpa di Obama. Il senatore McCain fino a pochi mesi fa guardava i Fratelli come fumo negli occhi, poi recentemente è stato in visita in Egitto e di colpo si è messo a predicare l’equidistanza. Morale, gli Usa continuano a non capire l’Islam e il mondo arabo. E aumenta la tentazione di fare la valigie lasciando il più popoloso paese arabo e il cuore del Mediterraneo in fiamme. Per adesso, Putin ha rimandato la sua visita da Al Sisi, strombazzata nelle settimane scorse. Ma Russia e Cina sono lì pronti ad allungare le mani, diplomaticamente parlando. Israele ormai si muove in autonomia nel Sinai, d’accordo con gli egiziani, a colpi di droni.
Possiamo permetterci di criticare gli Usa perché l’Unione Europea, che è a uno sputo dal caos egiziano, come al solito è una bella addormentata. Ieri Lady Ashton ha definito lo sgombero delle piazze con la forza "estremamente preoccupante". Estremamente preoccupante. In Italia ci balocchiamo sotto l’ombrellone tra una smentita e l’altra di giudici e politici, parlando della sentenza Berlusconi e chiedendoci quando andremo a votare. Ma sentendo il ministro degli esteri Bonino ("c’è il rischio di un bagno di sangue"), qualcosa ci dice che su al Colle il Presidente Napolitano forse non sta pensando solo a come risolvere la questione della agibilità politica di Berlusconi.
Che succederebbe all’Italia se gli Usa si tirassero fuori dal caos egiziano? Chi diventerebbe il nostro interlocutore? Con quali "Paesi-guida" dovremo negoziare, direttamente o indirettamente, quando masse sempre più grandi di disperati, profughi, reduci, vittime e carnefici di questa guerra civile decideranno di attraversare un pezzo di Mediterraneo verso Lampedusa, le coste della Sicilia e della Calabria? Loro come altri. Il massacro in Egitto rischia di essere un fallimento per gli Usa ma un problema sempre più grave e sempre più grande per il nostro Paese.