Le due Coree della politica italiana

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Le due Coree della politica italiana

04 Aprile 2013

Dall’estremo Oriente arrivano venti di guerra. Il giovane e folle (nella migliore tradizione dinastica) Kim Jong-un, presidente della Corea del Nord e ultimo difensore della ortodossia comunista, minaccia una guerra contro la Corea del Sud, democrazia membro dell’OCSE e alleata dell’Occidente.

La "classe dirigente" di Pyongyang ha sempre legato qualsiasi timida apertura al dialogo con Seul a uno sfoggio di aggressivo militarismo, con lanci di missili e pericolose scaramucce di confine utili a fare la voce grossa con gli americani, per poi sedersi al tavolo delle trattative senza aver perso il prezioso consenso interno dei militari e della popolazione educata da anni a questa retorica belluina.

Ma stavolta, forse per inesperienza o per dare un segnale di macismo ai suoi generali, il trentenne Kim si è spinto oltre, evocando un attacco nucleare contro gli Stati Uniti, il principale alleato dei sudcoreani. Pechino e Mosca, per fortuna, hanno risposto picche alle provocazioni di Pyongyang che però, avendo scelto la strada dell’avventurismo, ora potrebbe spingersi chissà dove scatenando  reazioni incontrollate.

Ebbene, fatte le debite differenze – prendiamola ironicamente, è una forzatura! – si potrebbe dire che anche la politica italiana funziona da anni come le due Coree. Per negoziare con l’arcinemico pubblico numero uno, Silvio Berlusconi, il Pd e le altre forze eredi del comunismo alzano la voce, minacciano e inseguono improbabili alleanze con i grillini, tentano di alzare la posta in gioco (l’incandidabilità del Cav.) nella speranza di ottenere un risultato politico negato dal voto.

Ma come accade ai valichi del trentottesimo parallelo, dove ogni giorno i lavoratori nordcoreani passano il confine per andare a lavorare nel sud più ricco e progredito, in questi giorni anche gli sherpa e le colombe Democrats tengono aperto un canale di comunicazione con gli odiatissimi avversari, si spera strutturabile grazie al lavoro svolto nella camera di compensazione dei Saggi di Napolitano.

Solo che, così come Kim ha esagerato, chiudendo i valichi di frontiera, anche il premier pre-incaricato Pierluigi Bersani rischia di superare i limiti: giocarsi tutto in un eventuale accordo con M5S sulla Presidenza della Repubblica che tagli fuori il Cavaliere. In modo da poter nominare un nuovo Capo dello Stato pronto a benedire l’inciucio fra democratici e pentastellati.

Oggi Michele Salvati sul Corriere della Sera scrive che sarebbe bene fermarsi, perché il "sogno" di Bersani è destinato a trasformarsi in un incubo. Come quello di un Kim che, messo alle strette dai suoi generali e perdendo la testa, lancia davvero i suoi missili sul Pacifico scatenando la "Red Dawn".