Lavoro e pensioni restano al primo posto nell’agenda politica

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Lavoro e pensioni restano al primo posto nell’agenda politica

12 Dicembre 2012

di Labor

Il mercato del lavoro italiano segnala un ritmo di involuzione davvero allarmante. Vi concorrono la fase recessiva indotta dal rallentamento delle economie e dalla depressione interna, una riforma della regolazione del lavoro che ha drasticamente ridotto la propensione ad assumere nel timore di sanzioni e contenzioso, una giurisprudenza schizofrenica e spesso ideologizzata, comportamenti sindacali conflittuali ancorché minoritari.

Sembra che in Italia il Novecento non debba finire mai, nemmeno di fronte a cambiamenti epocali. Eppure le fatiche della crescita competitiva dovrebbero suggerire condivisione sociale, flessibilità, certezza regolatoria, minore pressione fiscale. La politica del lavoro è stata tradizionalmente interpretata come politica della distribuzione della ricchezza attraverso i salari e l’occupazione. Fu soprattutto Marco Biagi a segnalare nel nostro dibattito interno come debba piuttosto essere considerata una politica funzionale alla produzione della ricchezza in quanto può incoraggiare gli investimenti e mobilitare i consumi.

Il Governo Monti ha svolto un essenziale ruolo di stabilizzazione del debito pubblico avvalendosi di quella tregua politica che era stata negata al precedente gabinetto. Tuttavia, il sostegno di correnti ideologizzate  ha impedito riforme strutturali tanto attese come la correzione “europea” della disciplina dei licenziamenti, pretendendo al contempo una maggiore rigidità regolatoria delle tipologie contrattuali flessibili. Lo stesso nuovo contratto di apprendistato è rimasto inattuato per l’intero anno in attesa di quel formale “repertorio delle professioni” tanto invocato dal sindacato ideologizzato. La riforma della previdenza obbligatoria, prodotta con lodevole tempestività ma priva di uno straccio di transizione, è stata poi largamente depotenziata dalla rincorsa del fenomeno degli “esodati”, destinata a produrre nuove iniquità e nuove correzioni.

Non a caso, ancora recentemente, il governatore della BCE Mari Draghi ha sollecitato una vera riforma del lavoro in Italia implicitamente riconoscendo i limiti di quella realizzata da poco. E la Commissione quanto l’OCSE segnalano insistentemente la rilevanza di un mercato efficiente del lavoro ai fini della crescita. Ne consegue che i temi del lavoro e della spesa sociale costituiranno materia sensibile non solo del confronto elettorale ma anche del giudizio che istituzioni sovranazionali e mercati finanziari daranno del futuro assetto politico dell’Italia. Mario Monti ne è ben consapevole e, anche in relazione a ciò, potrebbe decidere di non rimanere alla finestra.

Tratto da amicimarcobiagi