Il burqa è una minaccia per la sicurezza. Vietiamolo

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Il burqa è una minaccia per la sicurezza. Vietiamolo

03 Agosto 2007

Le forme mussulmane di
abbigliamento per il corpo e per il capo, una volta considerate esotiche, sono
oramai familiari in Occidente e divenute fonte di travagliate dispute politiche
e legali.

L’hijab (il velo che copre i capelli) è quanto mai popolare a
Detroit, ma è vietato nelle scuole pubbliche francesi, sconsigliato dalla International
Football Association Board, e bandito da un tribunale nello stato della Georgia
negli Usa.

Il jilbab (che lascia scoperti solo il viso e le mani) è stato, come
in parte discusso durante un procedimento legale seguito dalla moglie di Tony
Blair, prima permesso e poi vietato in una scuola inglese.

Il niqab (che copre tutto il corpo tranne gli occhi) divenne un tema
di scottante attualità quando Jack Straw, politico laburista britannico,
affermò che si sentiva a disagio quando parlava con donne che lo indossavano.
Mentre i supervisori ai seggi del Quebec non permettono di portare il niqab in cabina elettorale e un giudice
della Florida non ne ha consentito l’uso per la patente di guida, è legittimo
indossarlo nei tribunali britannici ed un candidato olandese nelle elezioni
municipali lo porta. Un ospedale britannico ha persino ideato una vestaglia-niqab per le pazienti.

Il burqa (che copre completamente la testa e il corpo) è vietato nelle
scuole del Regno Unito, è illegale nei luoghi pubblici in cinque città del
Belgio e la legislatura olandese ha cercato di bandirlo completamente. La “Carta
dei Valori della Cittadinanza e dell’Integrazione” italiana dichiara
inaccettabile coprire completamente il viso. Un tribunale degli Stati Uniti ha
espulso una donna che indossava il burqa.

In breve, non vi sono norme
generali che regolino le modalità islamiche per coprire il capo in Occidente.

Alcuni osservatori vorrebbero
vietare l’hijab nei luoghi pubblici;
ma quali basi legali esistono per sostenere una tale posizione? Seguendo la
regola non scritta secondo la quale i mussulmani hanno gli stessi diritti e
doveri degli altri cittadini, ma nessun diritto o dovere particolare, la
libertà di espressione delle donne dà loro la possibilità di indossare l’hijab.

Al contrario, i burqa e i niqab dovrebbero essere vietati in tutti i luoghi pubblici poiché costituiscono
un rischio per la sicurezza. Chiunque potrebbe celarsi dietro a quei veli – uomo
o donna, mussulmano o non, cittadino onesto, fuggitivo o criminale -, con
chissà quali scopi malevoli.

Alcuni esempi (i cui dettagli
sono disponibili sul mio sito nell’articolo “The Niqab and Burqa as Security
Threats”
): uno spettacolare tentativo di fuga ebbe luogo ai primi di luglio, quando
Maulana Mohammed Abdul Aziz Ghazi, 46 anni, tentò di fuggire dalla Moschea
Rossa di Islamabad, in Pakistan, dove aveva contribuito a fomentare
un’insurrezione per rovesciare il governo. Si infilò il burqa e i tacchi alti ma, sfortunatamente per lui, la statura, i
modi e la pancia prominente rivelarono la sua vera identità e lo fecero
arrestare.

Uno degli attentatori di Londra
del luglio 2005, Yassin Omar, 26 anni, si nascose sotto il burqa per ben due volte – la prima per fuggire dalla scena del
crimine, la seconda il giorno seguente, per lasciare Londra diretto verso le
Midlands.

Tra gli altri fuggitivi nascosti
da un burqa vi sono un sospettato di
omicidio nel Regno Unito, alcuni killer palestinesi che si sono sottratti alla
giustizia israeliana, un membro dei Taliban sfuggito alle forze NATO in
Afghanistan, e l’assassino di un islamista sunnita in Pakistan.

I burqa e i niqab facilitano
inoltre la condotta criminale non-politica. Non è una sorpresa scoprire che gli
obiettivi preferiti dei rapinatori sono le gioiellerie (come è accaduto in
Canada, Gran Bretagna e India) e le banche (ancora Gran Bretagna, Bosnia, e due
attacchi nel 2007 a
Philadelphia). Stranamente, in Kenya le prostitute hanno smesso il buibui (che lascia scoperto il viso poco
più del niqab) per confondersi meglio
tra gli abitanti della notte ed evitare la polizia.

Esprimendo la paura generale
suscitata da questo abbigliamento, un film dell’orrore recentemente proiettato
in Pakistan, Zibahkhana (che in Urdu
significa “mattatoio”) comprende un killer sadico e cannibale chiamato “burqa man”.

L’abitudine di coprire il viso
deriva da costumi tribali che si ispirano alla legge islamica, non direttamente
dalla legge stessa. Ad esempio, alcune donne delle tribù dell’Arabia Saudita
nella regione di Al-Kharj indossano il burqa
con l’arrivo della pubertà, e non lo tolgono più – né con altre donne, né coi
loro mariti, né con i loro figli. Le famiglie le vedranno ancora una volta in
viso soltanto di fronte al loro cadavere.

I ricercatori britannici offrono
un ulteriore motivo per abbandonare i burqa
e i niqab: hanno scoperto che le
donne completamente velate, e i loro bambini allattati al seno, mostrano
sostanziali carenze di vitamina D (che la pelle assorbe dalla luce del sole) e
rischiano il rachitismo.

Non c’è nulla nell’Islam che
richiede di mutare le donne in zombi senza forma e senza viso: il buonsenso
richiede alla stessa modestia di essere, appunto, modesta. È arrivata l’ora di
vietare nei luoghi pubblici questi orribili, insalubri, socialmente dannosi
capi di abbigliamento, amici dei terroristi e dei criminali.

 

Daniel Pipes è direttore del
Middle East Forum.
www.danielpipes.org

(traduzione di Alia K. Nardini)