Un’agenda riformatrice per riassorbire Grillo
22 Aprile 2013
In democrazia gli elettori hanno sempre ragione; il verdetto delle urne è, per così dire, sacro. Esso va rispettato anche quando, ad un’analisi spassionata, può apparire male indirizzato. Tocca alle classi politiche saper rispondere adeguatamente al libero orientamento degli elettori, indirizzando per il meglio spinte e indicazioni che possono apparire poco o punto meditate. Applicando questa massima generale alle recenti elezioni politiche italiane dobbiamo dire che fino ad ora, a due mesi dal voto, la capacità di risposta della classe dirigente politica è stata largamente inadeguata.
Tale ritardo è dipeso in gran parte dal giudizio che la dirigenza del Pd ha dato sul Movimento a cinque stelle e sulle ragioni del suo successo elettorale. A parere dell’ex segretario democratico, e dei suoi più stretti collaboratori, il voto a Grillo non esprimeva una generica protesta ma conteneva un segnale di novità da cogliere. Occorreva perciò interloquire ad ogni costo con questo nuovo soggetto politico, cercando lì una soluzione alla crisi politica, istituzionale ed economica che stiamo attraversando. Si tratta di un’analisi largamente errata. Sul movimento di Grillo e Casaleggio si è riversato un voto di protesta che non ha una precisa connotazione politica, ma esprime un malessere diffuso. I lunghi anni di recessione economica (cui si è risposto non con riforme liberalizzanti ma con un ulteriore aumento della pressione fiscale) hanno esasperato e impoverito larghe fasce dell’elettorato che, non trovando interlocutori credibili nelle tradizionali formazioni politiche, hanno votato per disperazione i pentastellati, senza sottilizzare troppo sulle proposte avanzate dal comico genovese e dai suoi seguaci.
Uno studio recente conferma questa interpretazione dei fatti, fornendo anche un importante punto di riferimento cronologico. Secondo l’analisi condotta da due politologi, a lungo il bacino elettorale di riferimento dei cinque stelle era "una nicchia […], con scarsissime possibilità di diventare una forza politica capace di incidere realmente sul futuro elettorale del paese, almeno dal punto di vista quantitativo". In sostanza quello pentastellato era destinato "a rimanere soltanto un piccolo movimento alternativo, di contestazione a volte un po’ sterile e senza grandi chance di espansione". Il mutamento si è avuto quando "da quote di popolazione decisamente minoritarie (intorno al 3-4%) si è passati, a partire da maggio 2012, a livelli decisamente competitivi, che lo pongono tra i partiti più votati dall’elettorato" (R. Biorcio, P. Natale, Politica a cinque stelle. Idee storia e strategie del movimento di Grillo, Milano, Feltrinelli, 2013, pp. 55-57).
I due studiosi guardano ai flussi elettorali e non si soffermano sulle motivazioni di questo mutamento ma, ripensando alla cronaca dello scorso anno, non è difficile coglierne le ragioni. Il maggio 2012 è stato il momento in cui i cittadini hanno cominciato a fare i conti per pagare la prima rata dell’Imu; la riforma del mercato del lavoro si è rivelata macchinosa e foriera di effetti negativi sull’occupazione; la promessa seconda fase del governo Monti (quella liberalizzante) è apparsa sempre più improbabile. A quel punto la tentazione di dare una lezione alla "casta" dei politici parassiti si è trasformata man mano in un definito orientamento di voto.
Pensare di ridurre l’influenza grillina corteggiando i leader del movimento o assecondandone i capricci politici è profondamente sbagliato. Occorre, invece, operare per riassorbire la protesta. Se finora si è perso tempo, la situazione si può ancora recuperare dando vita a un governo autorevole e legittimato che sappia perseguire un’agenda riformatrice. Sotto questo profilo è essenziale che il nuovo governo prenda le misure opportune per rilanciare l’economia, ma non meno importante è realizzare la riforma costituzionale attesa da troppi anni. I punti sono noti: rafforzamento dell’esecutivo, superamento del bicameralismo paritario (con connessa riduzione dei parlamentari). Non è possibile tornare a votare (tra un anno o due o quando sarà) con le regole che abbiamo oggi. Bisogna dare ai cittadini la certezza che il giorno dopo le elezioni l’Italia avrà un governo in possesso di una maggioranza sicura. Debellare il disordine istituzionale che da troppo tempo attanaglia il nostro paese è il modo più sicuro anche per sconfiggere la demagogia grillina.