
Via alle Riforme, Letta e Quagliariello mediano sulla legge elettorale

28 Maggio 2013
Oggi è un giorno importante per il Parlamento e per l’Italia. "Quasi sacro", ha detto ieri il ministro Gaetano Quagliariello. Il Governo Letta getta le basi di un percorso che grazie al Parlamento dovrà innescare le riforme costituzionali che il Paese aspetta da decenni. Forma dello stato, presidenzialismo, riduzione dei parlamentari, superamento del bicameralismo. La legge elettorale è una delle questioni sul tappeto e Quagliariello ha spiegato che "l’impegno del Governo sarà di fare insieme riforme costituzionali e legge elettorale," ma per adesso si "metta in sicurezza il sistema attuale".
Il problema è che il Porcellum, conservato, ritoccato, superato, per molti sembra rappresentare l’architrave delle riforme, il vero e unico scopo del Governo Letta, quando invece è solo una delle volte del processo riformatore. L’Huffington, con il retroscenismo che gli è caro, racconta del fermento che anima il centrodestra sulla legge elettorale. Nella ricostruzione offerta dal giornale di Lucia Annunziata, gli "scontenti" temono che il protrarsi della discussione sulla legge elettorale sia una chiave in mano a Letta per tenere accesa la macchina del Governo anche se dovesse smettere di camminare. Quando invece la questione della legge elettorale va risolta subito, dicono, e se non si risolve meglio votare di nuovo con il Porcellum, modificato o meno, tanto Berlusconi le elezioni le rivincerebbe.
Ci sono due osservazioni da fare rispetto a questa visione delle cose. La prima riguarda lo schema generale che abbiamo descritto in precedenza. E’ vero il contrario: se la discussione continuerà a ruotare intorno al Porcellum, come si è fatto fino adesso e anche durante il Governo Monti, probabilmente finiranno in secondo piano proprio quelle proposte che potrebbero cambiare davvero il nostro Paese, più profondamente di qualsiasi legge elettorale. La seconda osservazione invece è di natura politica. Si tende a credere che, se la situazione precipitasse tornando alle urne, Berlusconi sarebbe lì, pronto come sempre a vincere le elezioni. Il risultato del Cav. alle ultime politiche è stato straordinario, è indubitabile, nonostante tutti i voti persi. Il governo Letta forse è stato il suo "capolavoro" politico. Ieri però è arrivato lo stop alle amministrative. Roma compresa. A meno che Alemmanno non faccia il miracolo qualche domanda bisognerà purfarsela.
Siamo così sicuri del potere taumaturgico delle urne? Quello nazionale è un voto di opionione, è vero, che avvantaggia il Cav., ma anche Grillo se è per questo, sconfitto ma non domo. I sondaggi dopo febbraio hanno sempre premiato Silvio che ha saputo prendersi anche la rivincita sull’Imu. Giustissimo. Se non fosse che in mezzo c’è stato il Friuli, il chirurgo Marino che non è certo un campione di appeal, lo sgretolamento dei grillini che significa un rattopparsi del Pd o perlomeno del suo elettorato (vedi Val d’Aosta, altro che Occupy). E torniamo daccapo a dodici. Vogliamo rischiare che gli italiani stavolta travolgano davvero le loro classi dirigenti? Questo sarà o no un Governo costituente? Perché dovremmo accontentarci? Provare a intraprendere il cammino che inizia oggi non vuol dire stare al gioco della sinistra, ma stanarla, costringerla a una verifica dei poteri. Epifani fa sul serio o sta menando il can per l’aia? A proposito, Grillo è meglio farlo decantare un altro po’.