Solo con le riforme ci salveremo dal declino economico

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Solo con le riforme ci salveremo dal declino economico

Solo con le riforme ci salveremo dal declino economico

12 Dicembre 2013

Le parole pronunciate in Parlamento dal presidente del Consiglio Enrico Letta in occasione del voto di fiducia rilanciano con forza il tema delle riforme. E il ministro Gaetano Quagliariello gli fa eco insistendo sull’esigenza di superare il bicameralismo simmetrico (o paritario), riformare il Senato della Repubblica, diminuire il numero dei parlamentari, rivedere i rapporti tra Stato e regioni (terribilmente complicati dalla disastrosa riforma costituzionale del 2001) e, dulcis in fundo, cambiare la legge elettorale. Il motivo di tanta insistenza è evidente: restituire al sistema la governabilità e la credibilità perse negli ultimi venti anni; restituire agli italiani tanto la fiducia nelle istituzioni repubblicane quanto il diritto di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento.

Fin qui, lo scenario sembra essere chiaro a tutti; eppure non sono pochi coloro che insinuano il tarlo del dubbio: perché mai in tempi di crisi il governo non si concentra sui problemi economici e sociali che attanagliano il Paese? La riforma della Costituzione sarà pure importante ma l’oppressione fiscale, la disoccupazione dilagante, il debito pubblico lo sono di più perché affamano gli italiani ogni giorno. Il Parlamento non riesce ad esprimere una maggioranza stabile di governo? I politici facciano subito una nuova legge elettorale per restituire agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti, senza perdere tempo dietro a una riforma complessiva della Carta costituzionale che, non a caso, non è mai stata realizzata nella storia repubblicana.

Queste opinioni sono tutt’altro che infondate e trovano terreno fertile in una società colpita dalla peggiore recessione della storia repubblicana; eppure sono opinioni di corto respiro e, per smascherare la loro superficialità, è sufficiente porsi una sola domanda: siamo sicuri che il funzionamento delle istituzioni e la loro capacità di fornire risposte credibili in tempi certi siano variabili indipendenti rispetto ai problemi dell’economia e della società? Un imprenditore che ha aspettato per anni che la pubblica amministrazione lo pagasse per il lavoro che ha svolto, oppure un lavoratore in cassa integrazione saprebbero dare una risposta semplice e diretta alla domanda che abbiamo posto: istituzioni inefficienti non tutelano i cittadini e non sono neppure capaci di aiutarli nel momento del bisogno. Con ogni probabilità, questa risposta verrebbe sottoscritta anche dagli operatori stranieri che vorrebbero investire in Italia per trarre beneficio da un grande mercato come il nostro ma, dinanzi alle statistiche sulla lunghezza dei processi civili, si fanno due conti e preferiscono non rischiare: goodbye and good luck Italy!

Le riforme hanno allora un alto valore sociale ed economico perché servono a migliorare le istituzioni; queste ultime sono le impalcature che sorreggono il Paese consentendo ai nostri imprenditori di competere nel contesto europeo e internazionale, e ai nostri lavoratori di trovare un’occupazione nelle imprese (italiane e non) che investono nel mercato nazionale. Ma il valore delle riforme è misurabile anche (se non soprattutto) in termini di democraticità, di efficienza (in primis della giustizia), di competenza e tempestività nel rispondere ai bisogni di una società complessa, pluralista e proiettata nelle sfide della globalizzazione. Ecco perché delle riforme non possiamo fare a meno se vogliamo rilanciare l’Italia piegata da un declino politico ed economico che, cominciato da un ventennio, produce ora i suoi peggiori effetti. Il Nuovo Centrodestra è nato con lo scopo di salvare le riforme proposte dal governo dalla scure degli estremisti e dei populisti. Il valore di queste riforme sta nella loro capacità di trasformare le nostre istituzioni da problema a fattore di sviluppo.