I mullah iraniani mettono in fuga i figli di Che Guevara
18 Ottobre 2007
di Elio Bonazzi
Il presidente venezuelano
Chavez e quello iraniano Ahmadinejad hanno avuto negli ultimi anni alcuni
incontri durante i quali hanno più volte annunciato la formazione di un fronte
progressista globale da contrapporre all’imperialismo americano. Si sono accordati
per sponsorizzare progetti che approfondiscano quegli aspetti di affinità
ideologica tra la sinistra, in particolare quella latino-americana, e l’Islam
rivoluzionario. Alla fine di settembre, dopo aver parlato alla sessione
inaugurale delle Nazioni Unite, Ahmadinejad prima tornare in patria ha visitato
Venezuela, Nicaragua e Bolivia, ribadendo i concetti di “fronte comune” e
“affinità ideologica”. In concomitanza con il suo viaggio nel continente
americano, gli iraniani e le controparti latino-americane hanno organizzato una
conferenza, finanziata in parte da Chavez, tenuta all’Università di Teheran, e
che avrebbe dovuto rappresentare una sintesi tra le ideologie terzomondiste e
il khomeinismo. L’intenzione degli iraniani era di mettere in risalto l’aspetto
divino della guerra rivoluzionaria, e di assumere una posizione di leadership
nel fronte comune anti-imperialista.
Il titolo della
conferenza, Che Guevara come Chamran,
la dice lunga sugli intenti. Mustafà Chamran, divenuto cittadino americano alla
fine degli anni ’60, dopo aver studiato ingegneria negli Stati Uniti, contribuì
a fondare con Mussa Sadr il movimento Amal nel sud del Libano, rendendosi
protagonista di numerose azioni terroristiche alla fine degli anni settanta.
Con l’avvento della rivoluzione islamica, Chamran tornò in patria e da Khomeini
fu nominato ministro della Difesa all’inizio della guerra con l’Iraq. Di lì a
poco rimase ucciso in combattimento nella provincia del Khuzestan.
La conferenza, a partire
dal 25 settembre, sarebbe dovuta durare quattro giorni. Tre gli ospiti d’onore:
Mahdi Chamran, un fratello di Mustafà militante nella fazione di Ahmadinejad, e
Aleida e Camilo Guevara, i figli del Che.
Aleida, che fa la pediatra e vive all’Avana, vestiva l’obbligatorio velo
(hejab) e Camilo, per compiacere i suoi ospiti, si era fatto crescere una barba
incolta di pochi giorni.
Alle prime battute, la conferenza
sembra andare a gonfie vele: una classica celebrazione dei rituali della
sinistra radicale, con delegati provenienti dall’Europa e quadri del movimento
Hizbollah tutti concordi nel ritenere, intervento dopo intervento, l’America come
la fonte di tutto il male sulla terra. Gli islamisti si compiacciono di
ascoltare i delegati della sinistra radicale europea ribadire che l’Iran ha tutto
il diritto di dotarsi del nucleare, denunciando i piani criminali della “tigre
di carta” per un attacco alla Repubblica islamica. D’altro canto, i guevaristi gongolano ascoltando gli
interventi degli iraniani che riconoscono il Che come figura universale di rivoluzionario che lotta per la
giustizia dei popoli.
Mahdi Chamran, nel corso
del suo intervento, afferma che Ahmadinejad, Chavez e i leader delle
rivoluzioni in Nicaragua e Bolivia appartengono alla stessa famiglia di
militanti che si batte per la giustizia universale. Un altro delegato
islamista, Morteza Firuzabadi, ha invitato tutte le forze antiamericane ad
accettare la leadership del regime rivoluzionario di Ahmadinejad: “Il nostro
scopo è quello della liberazione dell’umanità oppressa ed il ripristino dei
diritti dei popoli, violati dall’imperialismo americano. In questo Jihad
globale non riconosciamo frontiera alcuna”.
L’incanto della conferenza,
però, si rompe di lì a poco, quando Hajj Saeed Qassemi, il coordinatore
dell’Associazione dei Volontari per il Martirio (sic!), prende la parola e
brandendo una traduzione in farsì di uno dei libri di Che Guevara, afferma che
il Che era stato in realtà un uomo
profondamente religioso, che odiava il comunismo e l’Unione Sovietica, ma era
stato costretto ad accettare l’appoggio dei comunisti in funzione antiamericana.
Qassemi prosegue sostenendo che il comunismo è ormai stato consegnato alla
pattumiera della storia, come aveva predetto Khomeini, e che quindi le forze
progressiste nel mondo devono accettare la leadership del movimento religioso
della Repubblica islamica, unico fautore di giustizia universale.
È vero che a sinistra si
è abituati ad una continua reinterpretazione della storia, specie quando eventi
storici a distanza di tempo rivelano tratti non proprio limpidi dell’ideologia
comunista, ma quanto dichiarato da Qassemi non poteva proprio essere accettato
dai guevaristi presenti. Una stizzita
Aleida Guevara, infatti, chiede di prendere la parola. Dal palco, Aleida precisa
che quanto appena detto da Qassemi doveva senza dubbio essere il frutto di una
cattiva traduzione dell’opera del mitico Che,
perché “mio padre non ha menzionato Dio neppure una volta. In realtà non ha mai
conosciuto Dio, perché è vissuto ed è morto da ateo”. Apriti cielo! La sessione
inaugurale della conferenza finisce in un pandemonio, tra urla, fischi, tafferugli
ed i fratelli Guevara trascinati via a forza dalle guardie rivoluzionarie e
scortati alla chetichella in albergo, salvati in extremis da un possibile
linciaggio da parte dei conferenzieri islamisti.
Ristabilito l’ordine nei
locali della conferenza, Qassemi riprende la parola, ribadendo il concetto già
espresso, e cioè che “Che” Guevara e il leader
maximo Fidel Castro avevano deciso di nascondere i loro profondi sentimenti
religiosi per assicurarsi l’appoggio dell’Unione Sovietica. Qassemi conclude il
suo intervento con un monito alle forze rivoluzionarie mondiali: “La leadership
delle forze progressiste appartiene ora alla nostra Repubblica islamica. Coloro
che vogliono distruggere l’America devono fare i conti con la realtà, piuttosto
che giocare con le parole per stravolgere questo concetto”.
A qualche ora di distanza,
i fratelli Guevara partecipano ad un altro incontro, questa volta
all’università Amir-Kabir, organizzato dal gruppo chiamato “Mobilitazione della
Milizia degli Oppressi”. Questa volta è Camilo ad incendiare gli animi,
confermando quanto detto da sua sorella nel corso della mattinata, e
aggiungendo che le forze progressiste nell’America Latina si concentrano sulla
lotta all’imperialismo, piuttosto che misurare il livello di religiosità dei
singoli militanti. Nonostante il tentativo di Camilo di smorzare i toni, a fine
giornata i fratelli Guevara diventano troppo scomodi per le autorità iraniane. La
stampa controllata dal regime offusca ogni riferimento ai figli del Che, idolatrati fino al giorno prima. Dopo
avere perso lo status di Vip, Aleida e Camilo vengono scortati la mattina
successiva all’aeroporto e depositati senza troppe cerimonie sul primo aereo
per Cuba. La conferenza viene sospesa e ogni riferimento alle celebrazioni
congiunte di Che Guevara e Mustafà
Chamran minimizzato.
Nell’arco di un giorno,
Aleida e Camilo sono riusciti non solo a scontentare gli islamisti, ma anche le
forze della sinistra antislamista iraniana per il loro rifiuto di condannare il
regime per l’arresto in massa di sindacalisti e per l’ondata di repressione
degli ultimi mesi contro i sindacati, le organizzazioni femminili, gli
insegnanti, gli edili ed i braccianti agricoli. Lapidario il commento di Parviz
Jamshidi, l’avvocato difensore di numerosi sindacalisti imprigionati: “A quella
gente [i Guevara] non importa nulla delle masse sfruttate. Per loro i
lavoratori non sono che un’astrazione, una scusa per apparire di sinistra e
chic. Non si rendono neppure conto che il regime khomeinista è in guerra contro
le fasce più povere della nostra società”.
Questo episodio avvenuto
in Iran alla fine di settembre dimostra quanto fragile sia la forzata alleanza
tra la sinistra secolare e l’islamismo. Il collante antiamericano da solo non è
sufficiente a tenere insieme fanatismo religioso da una parte e ideologia
politica basata su un’analisi marxista della società dall’altra. Il partito comunista
iraniano (il Tudeh) e i Feddayn del Popolo hanno provato a cavalcare la tigre
rivoluzionaria del 1979, cercando di sfruttare l’impeto rivoluzionario di
carattere religioso di Khomeini e dei suoi seguaci per dare una impronta
marxista ai fermenti di rivolta contro lo Shah Reza Pahlevi. Tale arroganza è
stata pagata con l’arresto, la tortura e l’esecuzione sommaria di migliaia di
militanti e con la messa fuorilegge del Tudeh nel febbraio 1982. Coloro i
quali, nell’ambito della sinistra radicale nostrana, dovendo scegliere tra gli
Usa e la Repubblica islamica optano per quest’ultima, dovrebbero rendersi conto
che nel loro futuro ci sono due opzioni. La prima è la conversione all’Islam, sulle
tracce dell’intellettuale e filosofo francese Roger Garaudy, il quale, lasciata
alle spalle l’ideologia marxista, a partire dal 1982 è divenuto un mussulmano
devoto oltre che un accanito sostenitore del revisionismo dell’olocausto. La
seconda opzione è quella di dover soccombere, in caso di vittoria finale delle
forze nichiliste che si battono contro gli ideali della democrazia liberale, al
fanatismo millenarista che si scatenerebbe contro il materialismo ateo,
esattamente come i “compagni” del Tudeh sperimentarono nel 1982.
Ma ha ragione Parviz
Jamshidi: per quelle stesse persone che negli settanta si esaltavano di fronte
alle vignette dissacranti del settimanale satirico “il Male” contro il Papa e
la religione cattolica, e che oggi sono diventati i campioni dell’Islamically Correct, il parteggiare per
la Repubblica islamica contro gli USA è giusto una scusa per sentirsi di
sinistra e chic, una delle tante astrazioni in cui crogiolarsi, un épater les bourgeois che lascia il tempo
che trova. Il prodotto interno lordo dell’Iran gestito dalla teocrazia è nel
2006 un quarto rispetto a quello del 1978, quando l’Iran era gestito dallo Shah.
La classe media, che si stava formando negli anni sessanta e settanta, e che fu
una delle cause economiche della rivoluzione, è stata compressa ed ha perso
potere d’acquisto; il sottoproletariato è aumentato numericamente e i
lavoratori sono sottoposti ad angherie e soprusi continui. Il tasso di
disoccupazione reale è intorno al 25%, ogni anno circa duecentomila giovani
neolaureati lasciano il paese per trovare un lavoro e condizioni migliori all’estero.
Di questi giovani, la maggioranza aspira ad essere accolta dal “Grande Satana”,
in barba all’establishment islamista. Non c’è nulla di sinistra nella Repubblica
Islamica dell’Iran, ma la sinistra salottiera nostrana stenta a rendersene
conto.