Tutti gli errori dell’Occidente nella guerra mondiale islamica
11 Agosto 2014
Il Califfato islamico che marcia sulle comunità cristiane in Iraq, la guerriglia per bande e tribù libiche, il sanguinoso conflitto siriano. Forse è venuto il momento di fare un bilancio su come l’Occidente nell’ultimo decennio sia entrato nella Guerra mondiale islamica, riconoscendo nello stesso tempo che sono stati commessi una catena di errori generati dalla incomprensione dei fenomeni che avevamo di fronte.
E’ una storia che sembra procedere per paradossi: siamo passati da un «certo eccesso di interventismo militare», ragiona l’onorevole Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione affari esteri della Camera, «con il secondo intervento americano in Iraq, quello di Bush figlio, che ha provocato tutto lo scatafascio successivo», all’eccesso opposto, la Siria, «dove un’opposizione democratica e che in un certo senso aspirava ad avere un rapporto con l’Occidente è stata abbandonata a se stessa» generando decine di migliaia di morti che non fanno più notizia.
«Bush padre seppe fermarsi in tempo dopo aver assestato un colpo a Saddam Hussein nella Prima guerra del Golfo». Con l’invasione dell’Iraq nel 2003, invece, «Bush figlio volle rovesciare Saddam: furono sciolti l’esercito e il partito Baath, vennero estremizzati i sunniti e si diede il potere agli sciiti con l’effetto di creare un asse da Baghdad a Teheran». Tutto questo ha condotto «all’impazzimento dei sunniti, che oggi si sono strutturati nella forma più estrema del Califfato».
In Siria si è preferito non intervenire, anche se le motivazioni ideali che avevano portato a rovesciare Saddam o Gheddafi avrebbero dovuto essere percepite come altrettanto valide dalla comunità internazionale. Così facendo si è indebolita l’opposizione democratica agli Assad, favorendo «l’entrata in campo di Mosca che sostiene in tutti i modi gli alawiti per proteggere tra le altre cose il suo strategico sbocco sul mare a Tartus».
In compenso, «sono intervenuti gli iraniani che hanno spostato l’Hezbollah a combattere per Assad. Quindi la possibilità di una vittoria della opposizione siriana è stata messa militarmente sotto scacco». Se a questo aggiungiamo che un pezzo del mondo arabo, dal Qatar ai sauditi, sostiene le componenti più estreme delle guerriglia, otteniamo «il bel capolavoro di aver consolidato Assad estremizzando le opposizioni».
L’altro «capolavoro» è stato l’intervento voluto dai francesi in Libia. Parigi ha trascinato con sé Washington e Londra nell’avventura contro Gheddafi, «senza pensare a quello che sarebbe dovuto venire dopo. Ma dopo non c’è stato né un dittatore migliore di Gheddafi né un quadro democratico apprezzabile»; caduto il Rais, siamo finiti in una situazione dove non c’è né Stato né governo o comunque, se ci sono, sono contestati platealmente. Noi almeno rimaniamo in campo con l’EU e con i nostri servizi.
Le recenti elezioni in Libia hanno visto l’affermazione di «una componente laica – anche se usare le nostre fraseologie piazzandole nel mondo arabo è sempre un’approssimazione» – ma contro i laici è scattato il meccanismo della violenza di matrice fondamentalista, esacerbato dalle storiche rivalità tribali libiche. «Il capolavoro dei francesi in Libia è stato rilevante: hanno cercato di scalzarci e adesso sono stati spazzati via», chiosa Cicchitto.
Che dire della "Operazione Dignità" lanciata dal generale Haftar contro i gruppi radicali e le cellule jihadiste? «Non so se e a che livello il generale sia sostenuto dagli americani e dagli egiziani, sta di fatto che se fosse così dovrebbero sostenerlo con una forza maggiore perché Haftar ha già avuto un ridimensionamento proprio sul campo militare».
Per evitare una "somalizzazione" della Libia occorre «una operazione sotto cappello ONU, anche di tipo militare. Se non si reagisce, continueremo a scontrarci con una realtà al limite della ingovernabilità». Del resto, «in Libia c’è una quantità tale di bande armate che ributterebbero a mare» qualsiasi intervento umanitario non sostenuto da una forza umanitaria.
Gaza, Libia, Siria, Iraq. In Occidente e a livello internazionale, conclude Cicchitto, c’è «la necessità di una forte presa di coscienza. Il problema è capire come vanno le cose, poi in base ai singoli casi si può trattare o intervenire militarmente».
Come con Mosca: «In Italia ci sono settori economico-finanziari e politici, sia di destra (Berlusconi) che di sinistra, che non hanno compreso di trovarsi davanti a un neoimperialismo russo. Putin somma insieme culture che si intrecciano, quella zarista e quella comunista che si traducevano entrambe in un nazionalismo grande russo». Ma forse queste forze non fanno analisi sbagliate, ma sono influenzate da interessi assai corposi.
«Sarebbe stato meglio essere molto duri con le sanzioni all’inizio, in modo tale da dare a Putin il segnale che non doveva esagerare; invece siamo partiti morbidissimi e adesso siamo costretti a indurire la nostra posizione perché il Cremlino si sta comportando come c’era da attendersi che si comportasse». Anche in questo caso, come per le guerre nell’Islam, «gli ondeggiamenti dell’Occidente derivano da analisi sbagliate». Forse si può ancora rimediare ma il tempo stringe. (Seconda puntata, fine)