Crocetta, Rodotà e il Grande Fratello
18 Luglio 2015
Ritorniamo e non a caso sulla vicenda Crocetta-Espresso. In primo luogo perché – essendo rimasti scioccati dalla volgarità criminale della frase attribuita a Tutino – non ci siamo posti una serie di altre questioni. 1) La più ovvia: se quella frase fosse vera. 2) Se si può usare comunque una frase pronunciata nell’ambito di un rapporto assolutamente privato; 3) Se si può condannare una persona pubblica in questo caso non per una frase, ma per un silenzio. Più in generale se si può in qualunque modo usare intercettazioni prive di rilievo penale per fare politica.
A spingerci a dare una risposta totalmente negativa a tutto questo sono alcune considerazioni fatte da Stefano Rodotà sul Fatto a proposito di un altro tipo di intercettazioni, quelle anch’esse del tutto private e prive di risvolto penale, riguardanti colloqui fra Renzi, Adinolfi e il sindaco di Firenze. Secondo Rodotà quelle intercettazioni andrebbero usate per imbastirci un bel processo, non penale ma politico. Sarebbe la definitiva codificazione e la nascita del Grande Fratello, per di più la cui potenza inquisitoria sarebbe poi moltiplicata al massimo dalle nuove tecnologie.
Siccome noi siamo agli antipodi di questa prospettiva del potere invasivo del Grande Fratello sostenuta da Rodotà, ci facciamo un’autocritica sulle nostre immediate reazioni rispetto al caso Crocetta, non nel senso che i dubbi sulle vicende delle intercettazioni portino alla resurrezione di uno dei peggiori presidenti di Regione che ci siano stati, ma crediamo che esso debba essere liquidato non per una questione che francamente è del tutto aperta e ricaviamo da tutto quello che è avvenuto conseguenze opposte a quelle ipotizzate da Rodotà per un verso e per altro dalla Milella, che è la massima teorica e pratica dell’uso selvaggio delle intercettazioni, tranne quelle che possono riguardare lei stessa, e quindi riteniamo che debba essere a tutti i costi approvata quella legge sulle intercettazioni di cui parla nella sua intervista il viceministro Enrico Costa anche se non ci nascondiamo che tutte le forze politiche editoriali e finanziarie che basano una parte cospicua del loro potere e delle loro intimidazioni sull’uso appunto delle intercettazioni, di quelle che vengono rese pubbliche e di quelle che non vengono rese pubbliche, faranno di tutto per impedire la approvazione della legge.
Ma torniamo sul caso Crocetta-Espresso: siamo arrivati al punto limite nel senso che per l’Espresso come per chiunque altro – giornale uomo politico o aspirante maitre à penser – non può valere il principio dell’ipse dixit. No, l’Espresso non può dire i nostri cronisti l’hanno ascoltata e quindi questa è prova provata. Il direttore dell’Espresso non ci dice neanche chi, in quale ambiente – procura, commissariato, centro d’ascolto – i cronisti hanno ascoltato la registrazione né ci dice chi, quale autorità giudiziaria o poliziesca li ha messi in condizione di esercitare questo ascolto. Ma comunque, a parte la conoscenza di queste circostanze rilevanti ma non decisive, l’Espresso è di fronte a un onere della prova che finora non ha esercitato se non attraverso l’ipse dixit del suo direttore che come tale non basta.
Per di più ci si trova di fronte ad una reiterata smentita da parte del procuratore generale di Palermo che a questo punto fa riferimento non a un procedimento penale al singolare, ma a procedimenti penali al plurale. Allora, in una situazione del genere, ritorniamo a un punto di partenza assai inquietante che abbiamo già sollevato ieri: o l’Espresso dice il falso o comunque dice cose de relato che non è in grado né di produrre né tantomeno può citare la fonte, o se le è inventate di sana pianta, oppure in un angolo della procura di Palermo fuori dalla vista del procuratore generale, c’è un nucleo di magistrati inquirenti e di esponenti della polizia giudiziaria che hanno fatto indagini assai delicate, le hanno secretate e sono arrivati al punto di far leggere le trascrizioni e ascoltare le intercettazioni ai due giornalisti dell’Espresso tagliando totalmente fuori il procuratore generale Lo Voi.
Come la mettiamo, si tratta di una situazione che richiederebbe da un lato una inchiesta penale – anche perché in assenza di prove l’Espresso si sarebbe reso responsabile come minimo di un gravissimo reato di diffamazione e qualora i documenti ci siano comunque di lesione della secretazione – e per altro verso ci sarebbero magistrati inquirenti e poliziotti appartenenti alla polizia giudiziaria che preferiscono parlare con il dottor Messina che non con il dottor Lo Voi. In ogni caso ci ripromettiamo su tutta questa vicenda di presentare non una, ma dieci interrogazioni per il ministro di Grazia e Giustizia.