La lezione politica del sequestro in Libia
22 Luglio 2015
Da più parti si auspica che il rapimento dei quattro italiani in Libia si risolva presto e si confida in un forte impegno del nostro Paese, mentre il presidente Mattarella sottolinea che «siamo aiutati dalla collaborazione di tanti altri stati». Il sequestro pare in ogni caso una vicenda ancora molto incerta, cade in uno scenario complesso, dove è meglio non esporsi troppo con le valutazioni, perché ogni parola detta a sproposito potrebbe compromettere il lavoro della intelligence.
Circolano alcune ipotesi, quella del sequestro a sfondo politico, un messaggio, un avvertimento di milizie e falangisti scontenti del piano di pace in discussione in Marocco sotto l’egida dell’Onu, magari una reazione alla politica di distruzione dei barconi che sta avendo il suo effetto, spia di nuove pratiche di autofinanziamento delle bande criminali (distruggete i barconi, noi sequestriamo gli italiani). Altri analisti non escludono la pista del Daesh.
Se le ipotesi per ora restano tali si può comunque trarre un insegnamento politico dalla vicenda. Il rapimento dei nostri connazionali dimostra – se mai ce ne fosse ancora bisogno – che ginepraio incandescente è la Libia, un Paese fuori controllo. La lezione per chi vorrebbe risolvere situazioni come queste (l’instabilità e i rischi del teatro libico, come la gestione dei flussi migratori) con roboanti proclami utili solo al consenso interno, è esattamente opposta: ora più che mai serve un bagno di realismo, nervi saldi e altrettanta prudenza.