Il Meeting e Chomsky
03 Settembre 2015
Il Meeting è cambiato, lo abbiamo letto anche sull’Occidentale. Qualcuno ha fatto notare che c’era tanta, troppa sinistra: Renzi, e mezzo governo Pd, e poi Violante, Veltroni, Bertinotti, Rutelli, Berlinguer, Petrini e così via. Ma in fondo, questi inviti al Meeting riminese non significano molto. Nella trasformazione culturale del Meeting, assai più significativo è l’intervento di Chomsky, un cambiamento più rilevante di qualsiasi dibattito sul gender.
Chomsky è un eroe della sinistra no-global, no war, occupy wall street, eccetera. Fin qui, solo politica. Ma Chomsky è soprattutto il grande linguista, uno di quelli che ha cambiato la storia della materia e, soprattutto, la sua filosofia. Chomsky si è opposto al fatto che il linguaggio sia una convenzione e un frutto di comportamenti successivi, difendendo il fatto che esso sia una sintassi naturale innata. I cattolici qui gongolano perché pensano di poter leggere in questo innatismo la mano di Dio che ha scritto la sintassi nei cervelli. Chomsky non lo pensa affatto, come ha spesso detto pubblicamente, e sostiene semplicemente che il linguaggio sia “un modulo della mente”, che ci sia una sintassi universale che spieghi il significato e che la sua origine sia nella programmazione cerebrale di alcune onde elettriche. Tutto il resto è “mistero”, nel senso che è sconosciuto e probabilmente irraggiungibile.
La sua grammatica generativa va a braccetto con un certo scientismo di alcuni neuroscienziati che ci possono dire dove nel cervello accade il pensiero (ma non sanno dire se sia il pensiero a creare lo sparo dei neuroni o viceversa) e, come il suo maestro Hume citato a Rimini, rende almeno scettici sulla possibilità di una relazione reale e piena di significato tra il linguaggio e il mondo, per non parlare di Dio. Certo, questa posizione si oppone all’idea che il linguaggio sia solo convenzione, ma lo fa in nome di una separazione razionalista tra oggetto della conoscenza e soggetto conoscente che deve inevitabilmente lasciare inspiegata la storicità dei significati e la creatività umana, che restano un enigma e una stranezza.
La versione opposta sul linguaggio sarebbe quella realista. Il linguaggio, anche quello matematico, nasce proprio dall’attività umana perché quest’ultima legge e interpreta la realtà del mondo (e, per alcuni, di Dio) che si comunica come segno. La realtà non è del tutto un enigma e, in ultima analisi, ignota, ma potenzialmente conoscibile, in vari gradi a seconda delle impostazioni filosofiche e scientifiche. La sintassi mentale è un aspetto materiale e limitato di una vasta comunicazione del reale pieno di significati che richiede la collaborazione storica dell’uomo, collaborazione che incide nella creazione dei significati e per questo è culturalmente determinata.
Nell’originale denominazione data dal filosofo americano C.S. Peirce, la posizione di Chomsky si chiama “nominalismo” (separare i nomi dalle cose) e l’altra “realismo” (la realtà e i nomi sono connessi come significato) e, notate bene, non divide le filosofie per partiti politici. Alla prima certamente afferiscono i citati Locke e Hume, ma anche Cartesio, Pascal e Kant. Alla seconda appartengono Aristotele e Duns Scoto, ma anche Hegel, Florenskij, Cavaillès.
Lo so, anche in questa versione fumettistica, sembrano cose difficili e astruse, che cambiano la realtà meno di Renzi e della sinistra dem. Ma sottovalutare il pensiero è un errore, soprattutto nelle sue ipotesi fondamentali. Pensare che in fondo il significato sia una questione di organizzazione sintattica e che non sia parte delle cose, o che la realtà, il mondo e Dio siano invece profondamente razionali e comprensibili come significati, alla lunga fa decidere anche se in effetti il Senato possa essere paragonato al Telegatto, se il problema dei migranti sia solo quello della nostra sicurezza, se si possa dire o meno che le droghe leggere fanno male e, persino, quali dei “nuovi diritti” siano diritti e quali solo aspirazioni. Fa decidere se il dialogo è un confronto cieco o se ci sia l’ipotesi di una verità da trovare, magari alla lunga, e che essa possa decidere chi ha ragione e chi ha torto. Fa considerare la creatività o come una magia o come una scoperta.
Ovviamente aver invitato Chomsky è un merito che va riconosciuto agli organizzatori dell’evento riminese, che conferma la sua vocazione di alta divulgazione popolare. Ma gli organizzatori ne sposano anche la filosofia? La mancanza di dibattito con altre idee non l’ha fatto capire, ma questo sì che sarebbe un cambiamento epocale. Altro che PD….