Il tribunale di Bangkok e le madri senza diritti

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Il tribunale di Bangkok e le madri senza diritti

28 Aprile 2016

In bella mostra c’è l’ultima istantanea che ritrae l’ennesima famiglia sui generis. In favore di telecamera, commossi, felici, le dita in segno di vittoria, c’è una coppia omosessuale che stringe la ‘figlia’ che hanno vinto insieme alla causa. Uno spagnolo e un americano ora possono abbracciare come ‘tutta loro’ la bimba, nata dall’ovulo (di un’altra donna rispetto a quella che l’ha portata in grembo per nove mesi) fecondato dal seme di uno dei due. Quindici mesi e si sono visti riconosciuti ‘padri’. Quello che la stampa ha definito ‘il limbo giudiziario’ era iniziato nel 2015, quando la donna thailandese che l’ha messa al mondo, si era rifiutata di affidargliela. Non aveva voluto firmare i documenti per concedere l’espatrio della neonata, perché ignorava il fatto che si trattasse di una coppia omosessuale. Il tribunale di Bangkok ieri ha messo fine al caso.

Durante i mesi del processo i due uomini avevano persino trovato un comodo escamotage per avere, anche economicamente, le spalle coperte: avevano raccontato l’episodio su un sito Internet, e servendosi della formula ‘sono bene accette donazioni’, avevano potuto racimolare il necessario per pagarsi le spese legali e il soggiorno in Thailandia. Ora possono tornare tranquilli in Spagna per raggiungere anche l’altro bambino di tre anni avuto da una precedente gravidanza surrogata (quella volta in India!): hanno vinto.

In primo luogo l’episodio si inserisce in un clima già delicato e in procinto di cambiare. Se, infatti, in India, recentemente, il mercato di uteri e bambini si è un tantino ridimensionato, in seguito ai noti scandali, diventando terra appena un po’ meno franca, anche per la Thailandia le cose si apprestano a cambiare. Va detto che da anni, in quelle zone, la percentuale di madri surrogate aveva surclassato di gran lunga persino l’India grazie ai prezzi bassi e alle leggi inesistenti. Fino a quando, mesi fa, a Bangkok è stata scoperta una vera e propria «fabbrica dei bebè surrogati», gestita da un giapponese che aveva fecondato oltre una decina di donne per scopi mai chiariti. E in questo senso gli scenari si fanno sempre più kafkiani.

Ma la sentenza disegna un profilo inquietante soprattutto in un’altra direzione. Ieri, in qualche modo, è stato, giuridicamente, ridotto tutto ad un contratto tra privati. Ogni dubbio è fugato. Ogni possibile profluvio di parole e distinguo si fa più obsoleto e meno seducente. L’etica si è slacciata definitivamente dalle ‘fattorie procreative’ e le nozioni di biologia sono state declassate come superflue ed insignificanti. Già, la biologia, la tanto osannata ‘scienza’, dove sono finite? Da sempre le ricerche hanno dimostrato che il bambino sin dal corso della gestazione istaura una relazione intrauterina con la madre, fondamentale per il successivo sviluppo del temperamento e della salute psicofisica.

Non è un caso che dagli ’70 esista la cosiddetta “psicologia prenatale”, che mette sotto esame scientifico proprio quella fase di sviluppo in gravidanza con il periodo immediatamente post-natale. Gli studi hanno dimostrato che lo sviluppo e le capacità comunicative, relazionali, psicologiche e psicofisiche del bambino prendono una forma precisa e determinante proprio nella vita prenatale. L’utero della mamma non è un ambiente asettico e neutro. Non lo è mai stato. Immediatamente, alla fecondazione avviene, infatti, qualcosa di unico: il corpo della donna si modifica per accogliere la vita, nutrirla e proteggerla. L’assetto ormonale, la respirazione e la circolazione sanguigna, sono mutati inderogabilmente. Ma adesso è stato tutto declassato nell’aver ridotto il fenomeno ad un contratto tra privati. Quel che è sempre stato non desiderabile, anzi drammatico, per chiunque venga al mondo, la separazione repentina dalla madre – accettabile solo se dettata da gravi problemi o del bambino o della madre –, ora è norma prestabilita.

Forse dobbiamo accettare che il concetto di madre è stato definitivamente rubato e spogliato? Perché se è illegale vendere un rene, comprare un bambino è possibile? Giusto, è il mercato del biolavoro! Su scala mondiale c’è un’economia indirizzata alla procreazione che passa per i corpi di donna. Sugli scaffali ci sono uteri e ovociti, e la gravidanza è un “servizio gestionale”. È la nuova frontiera. Il progresso va veloce e bisogna stargli dietro, l’economia dovrà pur girare in qualche modo. La sentenza thailandese ha scritto un precedente che grida al mondo intero che la madre non ha più voce in capitolo. Che è la firma del compratore ad avere l’ultima parola.

Ma del resto lo sapevamo già: il cliente ha sempre ragione. Anche se in ballo c’è la vita umana. Oggi al prezzario è stata aggiunta la concupiscenza vile che coincide con il gusto del potere. In ogni contratto che si rispetti, chi compra declina di ogni responsabilità e vuole che le sue aspettative siano soddisfatte. E allora è ovvio che la prassi di ostacolare l’uscita dal paese di bambini, in gestazione o appena nati, andava fatta cadere.