Numeri in libertà sull’utero in affitto per i gay
15 Febbraio 2016
Per cercare di “buttarla in caciara”, come dicono a Roma, i sostenitori della stepchild adoption nella legge Cirinnà – adozione consentita solo per le convivenze omosessuali, e non per le coppie etero – continuano a ripetere che a ricorrere all’utero in affitto sono in maggioranza coppie eterosessuali, e quindi anche per questo parlare di connessione fra questa pratica e il contestato art. 5 della Cirinnà non ha senso.
Ma questa è una delle tante fesserie che si spacciano per verità, e francamente ne siamo stufi. I numeri vanno trattati con rispetto: le coppie eterosessuali sono in numero di gran lunga maggiore di quelle omosessuali, e quindi, ovviamente, ricorrono molto di più alle tecniche di procreazione assistita eterologa e/o utero in affitto in numeri assoluti, rispetto a quelle omosessuali.
La stima corretta va fatta in proporzione: quante coppie fra quelle eterosessuali fa figli con l’utero in affitto, quante fra quelle omosessuali maschili (quelle femminili non ne hanno bisogno), e poi si confrontano le rispettive percentuali. E’ plausibile ipotizzare che mentre per le coppie eterosessuali l’utero in affitto è una pratica marginale, per le omosessuali maschili la percentuale è molto più consistente.
Ma quali sono i numeri, allora? Vediamo in Italia. Dati 2011: secondo l’Istat, considerando coppie senza figli e con figli, abbiamo 4.968.683 e 8.533.117, per un totale di 13.501.800 coppie. Prendendo per buone le stime di una faziosissima “inchiesta” de La Stampa di domenica, tutta a sostegno dell’utero in affitto, ogni anno in Italia nascono 100 bambini da surroga, l’80% da eterosessuali.
Il che significa che ogni anno ci sono 80 coppie eterosessuali che fanno utero in affitto, che su 13.500.000 fa lo 0.0006%, cioè 6 coppie su 1000.000, circa 1 su 170.000. Vediamo cosa accade tra le coppie omosessuali conviventi, che secondo il censimento Istat sono 7513, di cui 529 con figli.
L’Istat, però, proprio in occasione del dibattito sul matrimonio gay, ha fatto il suo coming out, dichiarando di essere inattendibile e di non saper raccogliere i dati, e ha suggerito che le coppie dello stesso sesso siano di più. Raccogliamo dunque il mea culpa degli incompetenti (per ammissione propria) statistici italiani, e consideriamo che i conviventi gay siano in totale il doppio, e circa la metà maschi, il che equivale a dire che le 7500 coppie rilevate da ISTAT sono tutte di maschi omosessuali conviventi. 20 coppie l’anno che ricorrono all’utero in affitto sono lo 0.3% (3 su 1000, circa 1 su 330) di quelle omosessuali maschili, che quindi in proporzione ricorrono a questa tecnica 500 volte tanto le coppie eterosessuali.
Questo significa diverse cose: innanzitutto che per le coppie omosessuali il ricorso all’utero in affitto è di gran lunga più importante rispetto a quelle eterosessuali, come era ragionevole aspettarsi. Per le coppie eterosessuali il ricorso alla maternità surrogata è un fatto marginale: serve solo a donne che sono troppo anziane per portare avanti una gravidanza, o che soffrono di patologie particolari.
Le scelte alla Nicole Kidman (che pare vi abbia fatto ricorso per non rovinarsi la linea) sono ovviamente un numero ininfluente, visto anche il costo elevato dell’utero in affitto. Insomma, se a ricorrere a questa pratica fossero soltanto le coppie etero, non ci sarebbe nessun problema a proibirla sul piano internazionale, non ci sarebbero proteste e polemiche.
Il problema è costituito dal fatto che per le coppie di maschi omosessuali affittare l’utero di una donna (e comprare gli ovociti da un’altra, cosa che si dimentica troppo spesso) è l’unico modo per “avere” un figlio biologicamente legato a uno dei partner. E’ questo che rende la questione così controversa e scottante: proibire la pratica significa ammettere che le coppie gay (e in particolare i maschi) non possono procreare.
E’ questo che lega la stepchild adoption all’utero in affitto. Approvare la Cirinnà non vuol dire sanare le (ancora poche, in Italia) situazioni che già esistono, e che possono essere sanate grazie ai tribunali, tramite ricorso all’art. 44 della legge sulle adozioni. Vuol dire, invece, aprire un percorso privilegiato per il futuro, promuovere l’odiosa pratica della cosiddetta maternità surrogata, e legittimare contratti di compravendita, affitto, leasing -e chi più ne ha più ne metta- tra esseri umani.