Gender e telecomando

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Gender e telecomando

31 Ottobre 2015

Mettetevi comodi, spegnete le luci. A portata di telecomando del politicamente corretto ci sono cose che voi umani non potete nemmeno immaginare.

 

Ogni scenario è possibile, ce n’è per tutti i gusti. La nuova frontiera delle sceneggiature cinematografiche e televisive riguarda il gender, e non più soltanto l’orientamento e i gusti sessuali. Non si tratta, ormai, di infilare un personaggio positivo che sia omosessuale in ogni fiction, ma di raccontare l’identità sessuale fluttuante, il superamento della dualità maschio-femmina, con tutte le sue possibili varianti. Facciamo qualche esempio, cominciando dalle storie girate in Italia.

 

Sul lago di Bolsena abbiamo Arianna. No, non è l’Ariane di Audrey Hepburn. È una Arianna tutta italiana. Una tredicenne, proiezione dell’inconscio (l’ha detto lui!) del regista Carlo Lavagna, che in occasione di una vacanza inizierà a domandarsi “perché ci è stata data questa identità e non un’altra?”

 

E in Italia ci torna Hana, la protagonista di Vergine giurata. Un’orfana albanese, che vive da un montanaro sposato e con una figlia, costretta a seguire le regole del Kanun: diritto attivo tra i montanari albanesi che, in mancanza di figli maschi, possono spingere una donna ad autoproclamarsi uomo. Sarà un uomo fino a quando non entrerà in contatto con una cultura diversa che la porterà a cercare la Hana sepolta, in Italia appunto.

 

Un salto al di là dai confini e, incastrati nel grande schermo, ci sono spettacoli sempre più nuovi.

 

Girls Lost coinvolge tre ragazze svedesi alla ricerca della loro sessualità incerta in una favola allegorica per esemplificare che “il genere diventa fluido; è qualcosa che puoi cambiare e manipolare”. Sarà una strana pianta nella loro serra, dal nettare magico, a farle trasformare in ragazzi, comportando anche un’alterazione del mondo che le circonda.

 

In Australia Gayby Baby mette in scena una famiglia omogenitoriale che la regista ci tiene a sottolineare “non sono perfette, ma non sono meno perfette di qualsiasi altro tipo di famiglia”.

 

Call Me Marianna è invece un documentario polacco capace di aggiudicarsi, tra i tanti, il Premio Zonta Club Locarno “per la promozione della giustizia e dell’etica sociale”. La protagonista è una trans semiparalizzata da un ictus dopo l’operazione di cambio di sesso.

 

Eppure è nel nuovo mondo che le proiezioni si fanno davvero al passo con i tempi. Trasferendo tutto nella dimensione più in voga delle serie TV.

 

Un carcere federale femminile è dove si articolano le vicende di Piper Chapman, in Orange Is the New Black. Tra lesbiche e transessuali, la serie statunitense è stata anche l’occasione perché la carcerata Sophia Burset lasciasse entrare nella storia la sua interprete, Laverne Cox, come la prima persona transessuale ad essere candidata ad un premio Emmy.

 

Ma nel 2014 l’80% dei film usciti non aveva in copione nessun personaggio omosessuale. La cosa non è piaciuta agli attivisti del Glaad, Gay & Lesbian Alliance Against Defamation, che vigila con severità su come Hollywood tratta lesbiche e omosessuali, e ne hanno ricavato uno spot diffuso a ridosso degli Emmy: Hollywood must do better. Ovvero, tutto questo non basta: Hollywood deve fare di più per promuovere non solo l’omosessualità, ma, appunto, l’ideologia gender.

 

È bastato pochissimo, insomma, perché agli Oscar della televisione americana, venissero premiate proprio Transparent, Modern Family, e Orange Is the New Black.

 

Modern Family mette in scena tre distinti nuclei familiari che raccontano le proprie vite nella nuovissima capacità di trovarsi immuni da qualsiasi rimprovero del politicamente corretto: la serie ha saputo frullare le diversità sessuali, culturali ed etniche in un solo colpo.

 

La ciliegina sulla torta si mette sempre alla fine, ed ecco Transparent. Il brillante (si fa per dire!) gioco di parole tra trans e parent (che vuol dire genitore) è il proscenio di una storia diventata lo stendardo dell’ideologia del gender sul piccolo schermo.

 

Il protagonista è Morton Pfefferman, pensionato sessantenne, che si sente di punto un bianco Maura, e da papà diventa mamma. Le dieci puntate bastano a mostrare un orribile guardaroba (forse è stato proprio lui ad aver fatto perder la pazienza a Giorgio Armani), costato al protagonista tormenti e mutandine rubate in casa, ma non solo.

 

Uno dei quartieri più ricchi di Los Angeles fa da sfondo, la storia è una matassa disordinata nevroticamente e che ha intrappolato anche i tre figli e l’ex moglie.

 

C’è l’ex alle prese con un nuovo fidanzato malato di Alzheimer e l’amore ancora intatto per il non più marito, ma l’unica a non avere confusioni sessuali; la figlia più grande, sposata e con bimbi, che lascia tutto per tornare da una vecchia fiamma (una donna) del liceo; un figlio sessodipendente che si scopre padre tra tante altre implicazioni sentimentali; e una figlia più piccola che si lancia in uno studio proprio sulle tendenze sessuali in cerca di risposte e incontra un uomo, che però è ancora una donna, quindi un transgender. Pure lui!

 

Il rapporto del protagonista con la propria sessualità non è nient’altro che un effetto domino nefasto, capace di stendere i figli, vittime dei problemi che quel coming out ha portato nella loro di sessualità e, quindi, nelle loro vite.

 

Doveva essere uno spot sull’identità fluida, ma ne è venuta fuori una strana parodia della vita e dei rapporti che la animano. E forse se ne sono anche resi conto.

 

Intanto quelli del GLAAD hanno tuonato ancora, i personaggi che rientrano nell’insieme LGBT vanno spogliati di tutti i luoghi comuni con cui vengono raffigurati:  non possono quindi essere dipinti come inaffidabili o infedeli, oppure privi di moralità, con comportamenti autodistruttivi. Le trame vanno strapazzate ancora di più.

 

La correttezza politica non solo ha ammazzato la comicità, come ha denunciato uno dei più famosi mattatori della Nbc, ma anche il cinema.

 

La nuova frontiera del progressismo ha ucciso la fantasia, quella capace di riassumere il bello della vita. Di divieto in divieto, di suscettibilità in suscettibilità, tra accuse di razzismo, sessismo, pregiudizi omofobi, sono morte di anemia le trame.

 

Godetevi quindi la deformazione della realtà, ha tutti i riflettori puntati, mentre marcia ostentando un’esasperata euforia sotto la bandiera del “liberi di non essere per forza qualcosa” . Dove è diretta questa marcia? Ah, non vi anticipo certo il finale!