
Legge stabilità, l’intervento di Quagliariello in Senato

20 Novembre 2015
di redazione
Signor Presidente, colleghi senatori, signori del governo, cosa è la legge di stabilità? La legge di stabilità, per dirlo con le parole di un grande economista di scuola liberale come Nicola Rossi, è "l’atto più importante per il governo. E’ la rivelazione, comma dopo comma, della sua identità e della sua visione. E’ un messaggio, scritto nelle poste di un bilancio, ai partner nel mondo. Un comunicato ai mercati. Un biglietto da visita per gli investitori".
Chiediamoci allora: qual è l’identità e la visione che il governo ci trasmette attraverso questa legge di stabilità? Qual è il messaggio ai partner del mondo, ai mercati, agli investitori? Soprattutto, quale immediato futuro questa manovra disegna per il Paese e per il suoi cittadini? Il primo messaggio manifesto è una serie di interventi di alleggerimento fiscale, in particolare sulla casa, di per sé certamente positivi.
Il secondo messaggio, altrettanto manifesto sol che lo si voglia vedere, è che questi interventi non vengono finanziati sottoponendo a una cura dimagrante una macchina pubblica elefantiaca e costosa, ma comprando nuovo debito. E in assenza di tagli di spesa e coperture reali qualsiasi abbattimento della pressione fiscale è solo un improbabile "pagherò" a breve scadenza.
Altro che mano destra, altro che ricette liberali! Siamo tornati altempo in cui il debito pubblico era una bacchetta magica per acquisire crescita e consenso. Ma le condizioni economiche e macroeconomiche dell’Italia, dell’Europa, del mondo sono ben differenti da quelle del secolo scorso. Ci troviamo nell’ambito di un’eurozona che va in direzione esattamente contraria a quella della stimolazione della crescita attraverso politiche di deficit. Operare in controtendenza espone dunque il nostro Paese al rischio che i Paesi concorrenti traggano vantaggio dalle nostre manovre spericolate e che l’Italia resti sola a pagarne il prezzo.
Se poi volgiamo lo sguardo oltre l’Europa la situazione appare ancor meno rassicurante: la crescita dei Paesi Emergenti (i BRICS), che ci hanno abituato a percentuali a doppia cifra, sta subendo pericolose frenate, mentre al di là dell’Atlantico gli Stati Uniti vivono una situazione di crescita senza occupazione.
Presidente, colleghi, vediamo in questa fase timidi e incerti segnali di ripresa. E sappiamo che questi pochi decimali di crescita sono il difficile frutto di una politica monetaria espansiva messa in campo dal presidente della BCE, Mario Draghi. Sono frutto di una congiuntura economica che ha visto allinearsi uno spread ai minimi storici, l’abbassamento dei tassi con relativa facilità di concessione di mutui, il deprezzamento della nostra moneta con relativi benefici per l’export. Una situazione che forse mai nella storia economica del nostro Paese si era verificata.
Era il momento di porre le basi per rendere strutturale una crescita congiunturale, liberando il Paese dalle zavorre del debito e della conseguente oppressione fiscale. E invece si è preferito riproporre la più classica delle ricette socialdemocratiche, peraltro riveduta e scorretta: dal "tassa e spendi", ricetta non condivisibile ma quantomeno trasparente, si è passati allo "spendi e tassa", perché sispende oggi sapendo che senza adeguate coperture si dovrà tassare domani, con gli interessi.
Questa legge di stabilità si guarda bene dall’aggredire la spesa e il debito, si tiene alla larga dai santuari intoccabili dello statalismo. Producendo nuovo deficit studia e pesa con sapienza piccoli intereventi per tanti settori, trattando i cittadini, gli imprenditori, i professionisti, le famiglie come pedine, come target commerciali in quanto vettori di consenso. Per citare ancora una felice espressione di Nicola Rossi, è "forte con i problemi deboli e debole con i problemi forti".
Dei quasi trenta miliardi "della versione accessoriata" della legge di stabilità, per riprendere uno degli slogan delle ultime settimane, due terzi sono coperti dal debito. E questo non per investimenti strutturali che traghettino il nostro Paese verso standard di modernità avanzati, ma per continuare a foraggiare la spesa corrente.
Si tratta del medesimo, vecchio sistema con il quale per decenni si è scaricato il peso del benessere sulle spalle dei propri figli, adagiandosi sul fatto che le generazioni successive non votano, o almeno non in tempo utile a sanzionare politicamente i governi che comprano flessibilità per l’oggi firmando cambiali che scadranno domani. L’orizzonte della cambiale coincide con l’orizzonte del consenso.
E nel caso di questa legge di stabilità, siccome siamo nell’era della velocità, non bisognerà nemmeno attendere la staffetta generazionale, perché la manovra in disavanzo si è limitata a spostare al 2017, rincarandole, le clausole di salvaguardia su Iva e accise. Cadrà allora sulle nostre teste una scure da circa 35 miliardi. Il che – per inciso – dovrebbe porre qualche interrogativo a chi con tanta sicurezza ritiene che la legislatura sia destinata a giungere alla sua scadenza naturale del 2018.
Trentacinque miliardi, dicevamo. O forse qualche milione di più, perché la riduzione (limitata) delle tasse è coperta da una quota ipotetica di capitali che dovrebbero rientrare dall’estero per il 2016 e da "un andamento favorevole del quadro tendenziale della finanza pubblica" dal 2017 in poi. Tradotto in prosa: ci ritroveremo a finanziare l’abbassamento di qualche punto percentuale dell’Ires e dell’Irap con l’aumento dell’IVA. Come nelle più tradizionali partite di giro, ciò che esce dalla porta rientrerà dalla finestra.
Ma poiché limitarsi a criticare serve a poco, con i colleghi Augello, Compagna e Giovanardi avevamo avanzato otto proposte concrete per un taglio mirato della spesa pubblica, riprese dal rapporto di Carlo Cottarelli e ispirate agli ammonimenti di Raffaele Cantone, che avrebbero prodotto risparmi per un minimo di due miliardi strutturali annui. Otto proposte che si prefiggevano l’obiettivo di aggredire la spesa pubblica improduttiva, di recidere sacche di statalismo clientelare, di cancellare per sempre rendite ingiustificate, insomma di prosciugare il brodo di coltura in cui cresce e prolifera la corruzione. Avevamo proposto tra l’altro un taglio severo e una razionalizzazione seria delle società partecipate dagli enti locali, la fusione dei Comuni sotto i 3000 abitanti salvando i municipi, l’introduzione dei costi standard per il funzionamento dei consigli regionali.
Avevamo proposto di impedire alle Regioni di coprire i tagli alla sanità con l’aumento dei ticket. Proposte affossate dai pareri contrari del governo e delle relatrici. Ancora. Avevamo proposto una drastica razionalizzazione delle spese per gli immobili della pubblica amministrazione, e la soppressione di enti ormai anacronistici. Su questi ultimi emendamenti è caduta la ghigliottina del vaglio di ammissibilità per materia. Incredibilmente, si è ritenuto che interventi concreti di spending review non abbiano cittadinanza nella legge che stabilisce il flusso di entrate e uscite dello Stato e l’impiego delle stesse.
Da un governo e una maggioranza che utilizza questo metro di rigore nell’ammissibilità degli emendamenti, d’altro canto, non ci si aspetta che invece vengano accolti di buon grado, in questo stesso testo, l’intero decreto "salva regioni" (per sanare condotte che a un privato sarebbero costate accuse molto gravi), e interventi per garantire lo stipendio invariato ai dirigenti illegittimi dell’Agenzia delle Entrate o per il Gran Premio. Amo anch’io la Formula 1, ma forse la spending review ha una qualche maggiore attinenza con la legge di stabilità!
Infine, il capitolo Sud. A dispetto degli ambiziosi masterplan, si esce da quest’aula con un nulla di fatto. Si è partiti nel testo originario con soli due interventi limitati e settoriali (per l’Ilva e per la Terra dei Fuochi), si è passati poi a proclami roboanti presto ridimensionati a cinguettii nel succedersi delle riunioni tra governo e maggioranza, e alla fine anche delle debolissime proposte fiscali e contributive residue si è persa traccia. Tutto rinviato alla Camera, dove inizierà una nuova estenuante staffetta. Altro giro, altra partita, o forse altra partita di giro. Grazie.
(L’intervento in Senato di Gaetano Quagliariello sulla legge di stabilità)