Dietro la paternità da Mulino Bianco di Vendola c’è un bimbo costretto a crescere senza mamma
04 Agosto 2016
Con una cronaca zuccherosa da far venire il diabete solo a leggerla, apprendiamo dal premuroso cronista del Corriere che Nichi Vendola è felicemente al mare con un bambino, precisamente il figlio del suo compagno, che lo ha avuto con l’utero in affitto, in California, da una madre surrogata di origine indonesiana e con l’ovocita acquistato (ma bisogna fingere che sia “donato”) da una donna diversa, probabilmente chiara di pelle e con i capelli biondi. Nichi Vendola non ha quindi, con il piccolo, né legami biologici né legali secondo le norme italiane, e forse proprio per questo continua a farsi fotografare con Tobia in braccio, anziché farlo riprendere con il suo papà biologico, Ed Testa: Vendola vuole essere considerato il padre del piccolo, nonostante non lo sia, anzi, nonostante l’utero in affitto in Italia sia un reato.
Ma per chi ha abbastanza soldi da pagare – fra i 100.000 e i 150.000 dollari circa per la procedura in sé, più le spese di viaggio e soggiorno negli USA – è un divieto facilmente aggirabile, e a far sì che si possano evitare condanna e sanzioni ci hanno pensato diversi giudici italiani, che anziché perseguire il reato consentono di trascrivere tranquillamente tutti i documenti che attestano la nascita del bambino e, soprattutto, che consentono di cancellare l’esistenza delle due madri, quella genetica e quella che l’ha fatto nascere. Del resto, è ovvio che i giudici si orientino verso questa soluzione quando sono spinti a farlo dalla stessa legge sulle unioni civili (con il comma 20) e quando il ministro della giustizia Orlando approva pubblicamente le sentenze.
Alcuni maligni in rete hanno suggerito che la sbrodolata su Nichi dolce papà sia stata confezionata per bilanciare la recensione di Monica Ricci Sargentini a un bel libro profondamente critico sull’utero in affitto, scritto da Marina Terragni (Temporary Mother), pubblicata sul Corriere lo stesso giorno. Altri, incredibilmente perfidi, alle parole del giornalista che racconta “I genitori non hanno voluto una baby sitter e non lasciano il piccolo neanche per un istante”, hanno commentato “per forza, con quel che gli è costato…”. Lasciando da parte le maldicenze, però, c’è da riconoscere che i toni dell’articolo sono da favola di altri tempi: “la passeggiata sull’erbetta a ridosso della spiaggia o all’ombra di un grande pergolato….i sorrisi, le carezze, gli occhi che brillano”: un mix fra “Felicità” di Albano e Romina e Mulino bianco. Sarebbe solo patetico, se non fosse invece molto triste sbattere periodicamente il piccolo Tobia in prima pagina per legittimare l’utero in affitto, usando tutta la tenerezza che un bambino di pochi mesi può suscitare per sdoganare una odiosa pratica di sfruttamento delle donne.
Non è in discussione la capacità di amare e di essere genitori di Nichi Vendola e di Ed Testa. Siamo sicuri che il piccolo Tobia sia amato e curato: ogni bambino è sempre una benedizione, a prescindere da come sia venuto al mondo. Così come, però, siamo sicuri che ogni bambino abbia diritto alla sua mamma: ha diritto ai suoi abbracci, alle sue coccole, ha diritto a crescere accanto a lei, e non sarà certo un collegamento skype ogni tanto a colmare un vuoto che altri hanno deciso per lui. La realtà è ostinata, e lo stesso articolo del Corriere lo dimostra, quando chiude con un incredibile ma significativo lapsus, dicendo di Vendola: “La voce si piega poi in una profonda commozione quando ricorda la perdita della madre Tonia, scomparsa a dicembre dell’anno scorso. «Se n’è andata settanta giorni prima della nascita di Tobia, era felice per questa nostra decisione, mi addolora pensare che non abbia fatto in tempo a vederlo: adesso cerco di trasmettere al nostro bambino la sua meravigliosa energia»”.
Ma il piccolo Tobia non potrà mai ricevere la “meravigliosa energia” di sua madre, quella che invece Vendola ha conosciuto vivendo accanto alla sua, di madre, quella che lo fa commuovere al suo ricordo. Al piccolo Tobia è negata per un contratto. In nome dell’amore e dei desideri di altri.