Ecco chi finanzia le moschee. Quanti soldi per l’islam targato Italia

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Ecco chi finanzia le moschee. Quanti soldi per l’islam targato Italia

07 Agosto 2016

Sotto i nostri nasi circola denaro per finanziare i luoghi di culto in cui si formano i terroristi di domani, e non lo sappiamo.

Il processo d’integrazione comporta l’obbligo di promozione socio-economica degli immigrati, volto al rafforzamento del funzionamento delle moschee, nella speranza che le minoranze musulmane rispondano alla chiamata a combattere concretamente la deriva islamista. Gli stati europei vivono nella paura di non fare abbastanza, si affannano e per questo sono intenti alla tutela dei luoghi di culto islamici in Europa. E’ per questo che le chiese cattoliche vengono trasformate in moschee, lentamente, e sempre più frequentemente. Come è successo, per esempio, all’inglese cattedrale di San Marco oppure  alla chiesa francese di Saint-Eloi.

Di questo processo inesorabile inizia a preoccuparsi persino uno come il premier della République, Valls, che si è detto recentemente “favorevole al fatto che, per un periodo determinato, non si possano più avere finanziamenti dall’estero per la costruzione di moschee”. Lo stesso premier che una manciata di mesi prima saltava dall’inaugurazione di una moschea all’altra per dire: “l’islam avrà tutto il suo spazio in Francia”, perché “i musulmani sono la Francia”.

In Francia i sindaci, infischiandosene della legge sulla laicité del 1905, svuotano le casse per innalzare moschee e finanziare attività tanto care agli imam locali. Dalle nostre parti l’operazione è molto più subdola, e direttamente proporzionata all’ancora esiguo numero (rispetto al resto d’Europa) di musulmani che riempiono lo stivale.

Il Qatar rappresenta lo sponsor ufficiale. E’ questo il principale finanziatore dei Fratelli Musulmani e di altri gruppi islamisti in Medio Oriente e in Africa, e ha donato all’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) 25 milioni di euro per la costruzione di 43 moschee in Italia. Per gli esperti non si tratta di una novità, ma la cosa è stata solo di recente ammessa dal diretto destinatario di questi fondi, il presidente dell’Ucoii, Izzedin Elzir: “In questi ultimi tre anni grazie al direttivo dell’Ucoii è stato fatto un lavoro di raccolta fondi molto valido con il Qatar, che ci ha consentito di procurarci 25 milioni di euro. Sono soldi del Qatar Charity, non del Qatar Foundation che invece fa investimenti per lo Stato del Qatar come quelli in Sardegna. Io ho rapporti con persone che vogliono donare, la Qatar Charity garantisce trasparenza, tracciabilità tra chi dona e chi riceve”.

E a chi gli fa osservare che quei milioni vengo dal fondo di un governo straniero, con suprema faccia tosta nasconde l’imbarazzo: “È il popolo, non lo Stato che ci finanzia. Il rapporto tra Stati islamici e islam è grande. Io accetto le donazioni da chiunque, da qualunque parte del mondo provengano. L’importante è che siano donazioni trasparenti e senza condizioni”. E poi confessa: “Sì. Abbiamo un grande problema di finanziamenti, abbiamo un grande bisogno di soldi. In gran parte andiamo avanti con l’autotassazione dei fedeli in Italia. Si tolgono il cibo di bocca per finanziare la moschea”.

E mentre, a detta loro, c’è chi si toglie il cibo da bocca, a Bergamo, qualche anno fa, succedeva che il tesoriere dell’Ucoii denunciava il presidente della moschea di via Cenisio a Bergamo per appropriazione indebita di 5 milioni di euro tra quelli donati dal Qatar: li trasferì sul conto di una società legata a un’associazione da lui fondata, “Comunità islamica“, anziché destinarli alla costruzione della moschea.

Ma la preoccupazione per la collusione tra terrorismo islamico, finanziamenti stranieri e le moschee in Italia non deve aver scosso troppo chi ci governa. La Qatar Charity è stata riconosciuta dal governo americano come uno dei soggetti finanziatori di Al Qaeda e nel 1997 lo stesso Bin Laden ricevette del denaro da parte di questa Ong.

In Italia si contano 1000 edifici tra moschee e luoghi di culto islamici. E dalle nostre parti chi intende edificarne uno ha diverse possibilità. Anzitutto c’è la Zakat, uno dei cinque pilastri islamici: ogni anno, in occasione della festa islamica Eid Al-Fitr, un buon musulmano è tenuto a versare una quota minima prestabilita. A questa quota fissa, che interessa un parte del milione di musulmani in Italia, si aggiunge la Sadaqa (elemosina non obbligatoria) che ogni venerdì i fedeli versano in donazione nelle casse della propria moschea. Più la moschea è grande, più le somme versate a titolo di donazione dai fedeli sono cospicue.  Stando alle dichiarazioni, non recenti, direttamente dalla moschea di Milano vengono raccolti quasi seicentomila euro l’anno.

E proprio a Milano la struttura di soli trecento metri quadri della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana) è costata più di un milione di euro. Donazioni di soci sì, ma soprattutto di alcune istituzioni: la Lega musulmana mondiale, l’organizzazione libica Wics (World islamic call society), il ministero degli Affari religiosi del Kuwait e il comune di Milano.

A Torino c’è un centro culturale islamico il cui costo è coperto da piccole donazioni. L’immobile è in affitto ed è finanziato dalla comunità che lo frequenta. Ma, allo stesso tempo, arrivano donazioni come quella di due milioni di euro dal ministero per gli affari religiosi del Marocco all’Unione dei musulmani in Italia.

In Italia la comunità marocchina è, infatti, la più numerosa e importante. E in virtù di ciò, negli ultimi anni, il Marocco ha dimostrato di aver una immensa  sensibilità per la sua gente. Finanzia persino il progetto che riguarda gl’imam qualificati da mandare in Italia per il mese del Ramadam. E non è da escludersi che altri finanziamenti possano arrivare in futuro proprio dal Marocco. A Colle Val D’Elsa, per la nuova moschea, sono serviti cinquecento mila euro di donazioni dalla comunità musulmana in Italia, più i trecento mila dalla fondazione Monte dei Paschi di Siena, mentre per il terreno su cui è edificata, è bastata un’intesa tra comunità e amministrazione, per un affitto in comodato per una durata di novantanove anni. Prezzo, dodici mila euro annui. La grande moschea di Roma è costata più di 90 miliardi delle vecchie lire. Chissà se hanno ringraziato a dovere le donazioni dell’Arabia Saudita e del Marocco. Oggi per il suo mantenimento arrivano quattrocento mila euro all’anno dalla Rabitah (la lega musulmana mondiale) a fronte di cinquantamila provenienti dai privati. E nonostante ciò, sono in deficit di centocinquanta mila euro. E’ anche, e soprattutto, l’Arabia Saudita ad investire ufficialmente da anni nelle grandi moschee simbolo delle principali capitali europee. Mentre le ricche famiglie saudite finanziano centri più piccoli, tramite contatti informali con singole associazioni islamiche.

Il governo turco, attraverso il ministero degli affari religiosi, sostiene invece il Ditib, l’organizzazione ufficiale dei musulmani turchi all’estero. Ed è da Istanbul che arrivano ministri di culto per periodi di tempo determinato in Italia. Apparentemente, tutto viene gestito da semplici associazioni, senza l’ombra di fondazioni. Ma non è così, e la tracciabilità delle operazioni risulta poco chiara. Negli ultimi anni, oltre una ventina di immobili adibiti a moschea risultano sotto il nome di ‘Al Waqf al islami in Italia’. Secondo il legale del Waqf al Islami in Italia, Maher Kebakeji, il suo waqf è “Un ente depositario degli immobili destinati ai luoghi di culto in Italia, beni inalienabili e di proprietà di tutti i musulmani”. Una fondazione a tutti gli effetti. Ed è certo, pertanto, che intorno alla “Waqf al islami in Italia” girino diversi milioni di euro, visto che sono almeno venti gli immobili intestati alla comunità locale. Le donazioni girano e l’immobile viene ottenuto in comodato d’uso.

Nella giurisdizione italiana, però, non c’è una normativa che lo preveda. E questa anomalia basta a segnalare quel vuoto che ancora non è stato risolto sui finanziamenti all’Islam in Italia. La cosa non può essere presa sotto gamba. In ballo non ci sono solo i soldi, ma anche e soprattutto la crescita culturale, che da quei luoghi di preghiera e politica trae linfa fondamentale. E’ lì che mettono radici. E’ lì che l’islamizzazione attecchisce. In Italia, la Chiesa e la Comunità ebraica rendono pubblici i loro bilanci, mentre quelli dell’Ucoii e delle sigle islamiche sono top-secret. Perché? In queste circostanza, magicamente, tutto il moralismo e l’ideologia della legalità si dissolve.

La trasparenza è indispensabile non solo per il denaro che arriva dall’estero, e per come viene gestito (dalle moschee d’Italia vanno all’estero come donazioni a enti e singoli in aree coinvolte nelle guerre e nel terrorismo islamico), ma per quello che accade in quegli edifici. Tra quelle mura non di rado viene fomentato anche l’odio per le nostre radici e principi.

Era il 2003, quando Magdi Allam raccolse alcuni passaggi di prediche pronunciate da imam nelle moschee italiane. Ne citiamo una su tutte registrata nella moschea di Napoli. “L’occidente sta provocando più vittime di quante ne abbiano fatte le due guerre mondiali messe assieme. Quindi la nazione musulmana deve reagire per difendersi. Se non ci sarà un cambiamento di rotta da parte dell’occidente, questo e i paesi musulmani che lo seguono saranno colpiti da gruppi di fratelli musulmani che ormai si sono riuniti sotto il vessillo di autorevoli personaggi [come Osama Bin Laden] ben noti al mondo intero e che tanto scuotono l’occidente”.

Ma se ne parliamo siamo tacciati di islamofobia. Un’accusa che si sono inventati da qualche anno per  mettere a tacere chi osa criticare e dire la verità sull’islam. E che si ritrova, così, addirittura accusato di diffondere persino i semi dell’odio. L’islamofobia è una scusa per distogliere l’attenzione, e ci stanno riuscendo.

D’altronde hanno una strategia rivoluzionaria. Giocano con una inesistente repressione per indurre a solidarizzare con la minoranza pretesa oppressa.