L’addio di Obama tra retorica, rancore e amarezza

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L’addio di Obama tra retorica, rancore e amarezza

11 Gennaio 2017

A Chicago Obama ha recitato il suo ultimo discorso da presidente. Fu George Washington a stabilire due tradizioni, una diventata regola sacra della democrazia americana, l’altra una consuetudine: il primo presidente d’America infatti decise che otto anni era il limite massimo per i mandati di un presidente, e che il “congedo” dovesse essere accompagnato da un discorso di addio – diventato poi una consuetudine per tutti i presidenti.

Obama lascia la Casa Bianca con un discorso che in nessun momento ha smentito la sua retorica patinata, l’oratoria scontata, e gli slogan orecchiabili, ma sterili, che hanno contraddistinto la sua presidenza. “La nostra democrazia è in pericolo solo quando la diamo per scontata”, ha detto. Barack va via e lascia al suo successore, Donald Trump, un’America in crisi d’identità. Spaventata dal terrorismo, dall’immigrazione, dalla fuga del lavoro all’estero, che ha detto ‘sì’ ad ogni sorta di progresso senza capire mai perché. Il Don, dal canto suo, mentre provano a ridicolizzarlo in tutti i modi, ha caricato i motori per rovesciare il decennio obamiano, dalla riforma sanitaria alle leggi sull’ambiente, a un generale ripensamento dei trattati di libero scambio; c’è tutto questo nel programma che Trump vuole portare avanti.

Per il suo discorso d’addio, Obama è voluto ritornare a Chicago, la città da cui è partita la sua parabola politica. Dal McCormick Place ha puntato ancora una volta su toni ottimistici, in un momento in cui gli Stati Uniti sono divisi come non mai. “Vi chiedo un’ultima cosa da presidente, continuate a credere – non in me ma in voi. Mi avete reso un presidente migliore, un uomo migliore”. Ma il discorso non nascondeva l’amarezza di dover passare il testimone a uno che, per quelli come e lui e la Clinton, è l’emblema di ciò che hanno sempre tentato di contrastare: Trump, appunto. Barack ha fatto un bignami dei suoi successi: lotta al terrorismo; l’eliminazione di Bin Laden, la chiusura voluta ma non ottenuta del supercarcere di Guantanamo, la lotta contro le discriminazioni, l’accordo con l’Iran sul nucleare, i matrimoni omosessuali, la riforma della sanità e la battaglia per l’ambiente.

Ma quelle che Obama considera vittorie per l’America, in molti casi, hanno solo prodotto danni per l’America e fuori dai confini Usa. Obama non ha neppure risparmiato qualche frecciatina qua e là contro il presidente Trump, “respingo la discriminazione contro i musulmani americani“, ha detto. “Se qualcuno riuscirà a mettere insieme un piano che sarà migliore in modo dimostrabile rispetto ai progressi che abbiamo apportato al nostro sistema sanitario, lo sosterrò pubblicamente”, ha aggiunto sfidando Trump. Obama quindi ha provato ancora una volta, l’ultima, a scaldare il cuore degli americani con la sua arte retorica. Ma se ripensiamo al voto e a come si sono espressi gli americani nelle urne, la vera speranza rimasta al popolo americano è il cambio di rotta che Trump potrà imprimere agli Stati Uniti.