Venezuela, tutti in piazza contro Maduro. Intanto il governo impedisce l’ingresso di giornalisti stranieri
01 Settembre 2016
Secondo l’Istituto Nazionale di Statistiche, la povertà in Venezuela è del 33,1%: 683.370 famiglie vivono sotto la soglia di povertà estrema. L’anno scorso, erano l’8,4%. L’istituto Cendas-FVM ha pubblicato lunedì scorso il prezzo dei consumi alimentari mensili a luglio: i prodotti di prima necessità sono aumentati del 2.985% in un Paese dove lo stipendio minimo è di 16.789,92 Bolívares Fuertes (circa 23 euro al cambio del mercato ufficiale e 15 euro al cambio del mercato nero). Sono dati terribili. Persino da scrivere.
Come ha raccontato il settimanale Time la scorsa settimana, il problema principale in Venezuela è la mancanza di beni indispensabili: medicine e alimenti. In un report di Sondaggio Nazionale di Ospedali sostiene che la situazione è sull’orlo della crisi umanitaria: circa 196 ospedali registrano il 76% di mancanza di medicine e prodotti basici come garze e siringhe. Manca l’81% di materiale chirurgico e l’87% di sonde e cateteri. Ai 25 mila morti della criminalità, ora bisogna aggiungere quelli per denutrizione e mancanza di assistenza sanitaria e medicine.
E il sindaco del municipio Sucre di Caracas, e leader dell’opposizione, Carlos Ocariz, ha spiegato che “la presa di Caracas è una delle azioni organizzate per fare pressione popolare e riuscire a convocare il referendum revocatorio contro Maduro questo anno (…). Non è un’azione definitiva, né cerca la caduta del governo quel giorno. È un’attività di strada per dimostrare al mondo che i venezuelani stiamo cercando la via democratica e esigendo un diritto”.
Secondo il Wall Street Journal, “la protesta di questa settimana può essere l’ultima e la migliore opportunità per forzare un referendum che metta fine a un governo profondamente impopolare”. E sullo stesso quotidniano si legge: “Caracas sembra una città preparandosi per una guerra. Nelle ultime settimane, l’esercito ha costruito barricate con sacchi di sabbia e ha parcheggiato veicoli blindati fuori dai tunnel principali che collegano la capitale. L’opposizione dice che i soldati cercheranno di evitare l’arrivo degli autobus con i manifestanti (…) Durán, un ragazzo di 29 anni, ha perso 20 chili questo anno per la mancanza di alimenti, grazie a quello che si chiama scherzando ‘la dieta di Nicolás Maduro (…) a Caracas ha detto che arriverà anche a piedi (…) Il referendum revocatorio è l’unica uscita pacifica da questo governo”.
E nel frattempo, mentre la folla chiede la convocazione di un referendum nazionale sul presidente, è iniziata la caccia alla stampa estera che tenta di documentare quanto accade. Il governo venezuelano, infatti, ha impedito l’ingresso nel Paese di alcuni giornalisti inviati per seguire le proteste e ha espulso il corrispondente del “Miami Herald“. I giornalisti respinti a Maiquetía, l’aeroporto internazionale di Caracas, sono: l’inviata di “Al Jazeera“, Teresa Bo, con il cameramen e la producer della tv araba che erano appena sbarcati da un aereo proveniente da Buenos Aires e sono stati obbligati a ripartire per Bogotà; l’inviata di “Le Monde“, Marie-Eve Detoeuf; quello della colombiana “Radio Caracol“, Cesar Moreno; e John Otis, della radio del servizio pubblico Usa. Jim Wyss, reporter del Miami Herald, il giornale della Florida, è stato invece arrestato nella notte di martedì e deportato a Panama.
Ennesima prova del progressivo e inesorabile peggioramento delle condizioni sociali e politiche del Venezuela. L’obiettivo di Maduro continua ad essere quello di rinviare il referendum, che secondo tutti i sondaggi perderebbe con un largo margine di voti a favore della sua destituzione, almeno fino al prossimo anno. Se il referendum si svolgesse entro quest’anno infatti la Costituzione prevede automaticamente la convocazione di nuove presidenziali. Se invece viene rinviato al prossimo anno, al posto di Maduro andrebbe un suo vice presidente fino al termine del mandato, nel 2018.
La tecnica di Maduro per provare a fingere ancora di avere la faccia pulita resta la denuncia dell’esistenza di un “complotto internazionale” organizzato dagli Stati Uniti per consegnare il potere alle forze dell’opposizione anti-chavista.