E voilà: in Austria i vecchi partiti sono scomparsi
24 Maggio 2016
Tutti sembrano sollevati, soprattutto a sinistra. Il candidato nazionalista dell’Fpo alle elezioni presidenziali in Austria, Hofer, ha perso per una manciata di voti. “L’ultradestra”, gli “xenofobi”, gli “islamofobi”, i “nipotini di Hitler”, sono stati fermati un attimo prima del traguardo dal voto per corrispondenza, il voto, cioè, di elettori che non vivono nel loro paese, e non ne captano gli umori diffusi.
Tutti si rallegrano per lo scampato pericolo. Ha vinto Van Der Bellen, un professore universitario settantenne, ex leader dei verdi e proveniente dalla sinistra radicale. Che presidente! Come avremmo fatto senza di lui! Complimenti e attestati di stima dalle cancellerie di mezza Europa si sprecano. La soddisfazione esibita serve a coprire, però, un profondo disagio.
La “non vittoria” di Van der Bellen sta lì a testimoniare che a Vienna, come in Francia, in Spagna o negli Usa, ad andare in scena è ormai la crisi del bipolarismo che aveva contraddistinto le democrazie occidentali negli ultimi decenni. Perché la novità che mette in crisi la classe dirigente europea è questa: i partiti che occupavano storicamente la scena politica austriaca si sono volatilizzati, non si sono nemmeno affacciati al ballottaggio. Spo e Ovp, popolari e socialdemocratici sono stati estromessi dalla gara, raggiungendo solo la quarta e quinta posizione.
La crisi dei partiti tradizionali è un refrain che torna nelle elezioni di tutti i paesi della Ue, in cui emergono realtà nuove, con parole d’ordine semplici e che “bucano”, con caratteristiche di protesta e di trasversalità rispetto agli insediamenti sociali tradizionali. E’ un fenomeno complesso e di vasta portata che se non verrà affrontato seriamente e dando risposte concrete ai cittadini aprirà le porte a dieci, cento, mille Hofer (e Van der Bellen). Se non ripenseremo l’Europa dovremo accontentarci presto degli stati disuniti d’Europa e di un nuovo paradigma politico fondato sulle estreme o più o meno tali.
In Austria l’intero arco costituzionale ha dovuto compattarsi contro il candidato di un partito euroscettico e pronto a chiudere le frontiere davanti a una immigrazione incontrollata. Ma chi pensava che il trauma fosse la vittoria di Hofer, ora che si contano voti, e si capisce come si sono orientati gli elettori, sta per avere il vero shock.
L’80% e passa della working class, infatti, le classi popolari e i ceti produttivi austriaci, quella che un tempo fu la base elettorale della sinistra, ormai ha abbandonato la sinistra: alle elezioni in Austria ha votato in massa per Hofer, non per Van Der Bellen.
Emerge sempre più chiaramente che ci sono forze o partiti che beneficiano di un cambiamento profondo nel tradizionale atteggiamento degli elettori, un cambiamento dovuto a un superamento progressivo delle categorie di “destra” e “sinistra” e davanti a fattori socio-economici diversi come l’austerità imposta da Bruxelles, le migrazioni di massa, in certi casi le stesse riforme portate avanti dai governi nazionali sulla base delle linee guida europee.
Qualcuno osserva che le classi popolari in Austria così facendo ragionano contro il loro stesso interesse. In realtà il signor Mario Rossi di Vienna, particolarmente quello che lavora in fabbrica, non ne può più di minoranze che all’interno di un paese si comportano già come fossero la maggioranza. Non ne può più degli effetti paradossali del multiculturalismo, di competere con gli immigrati per accedere a welfare, servizi essenziali, opportunità del mercato del lavoro.
In Austria come altrove la sinistra ha perso i suoi elettori. E festeggia spaventata insieme a molti altri questa “non vittoria” che è politica, ma anche sociale e culturale.