Su referendum trivelle ennesima resa dei conti nel Pd
17 Marzo 2016
Il 17 aprile si vota per il Referendum sulle trivellazioni di petrolio e gas in Italia. Un referendum abrogativo, fortemente voluto da alcune Regioni in particolare del Sud. Per adesso a suonare la campana sono stati quasi sempre i “no triv”, il popolo dei no-tutto, che chiedono agli italiani di abrogare la norma che consente le perforazioni entro le 12 miglia marine dalla costa. Ma c’è anche chi difende le trivelle, come il comitato “Ottimisti e Razionali”, presieduto da Gianluca Borghini, convinto invece che quello degli idrocarburi sia un settore industriale sicuro, relativamente meno inquinante di altri, e soprattutto in grado di attrarre investimenti e dare lavoro.
IL COMITATO CONTRO IL REFERENDUM. “Il referendum è ingannevole,” ha spiegato Borghini, “fa credere agli italiani che possono decidere se bloccare nuove trivellazioni in mare, quando c’è già una legge dello Stato che lo vieta. Quindi spenderemo risorse preziose, circa 300-400 milioni, per decidere qualcosa che il Parlamento ha già bocciato: nuove trivellazioni non si faranno”. Se vincesse il Sì, “si chiuderebbero impianti già in essere, che da anni forniscono, senza rischi e pericoli, gas al Paese. Gas di cui abbiamo bisogno”. Borghini parla di “bufale e bugie” che circondano questo referendum e che potrebbero creare solo “rischi economici, occupazionali e ambientali per il Paese”.
Il Comitato “Ottimisti e razionali” ha diffuso anche un decalogo per far capire agli italiani quanto è importante non rinunciare a questa parte del nostro sistema produttivo, ricordando che in Italia ci sono almeno 400 impegnate nel settore Oil&Gas, 100mila occupati tra il settore e la vasta area dell’indotto, un fatturato annuo di più di 20 miliardi di euro. “No ai No Triv. Sì al lavoro”, lo slogan che riassume la posizione del comitato, che invita quindi gli italiani a non andare al votare al referendum.
Qualche altro dato: la produzione italiana di gas e di olio (a terra e in mare) copre, secondo Borghini, “l’11,8% e il 10,3% del nostro fabbisogno. In euro questo significa 4,5 miliardi all’anno di risparmio sulla bolletta energetica. Le piattaforme offshore che si vorrebbero chiudere forniscono fra il 60 e il 70% del gas nazionale che utilizziamo in casa o nelle attività produttive”. Se dovessimo rinunciare a questa energia “sarebbe uno spreco assurdo”. Si parla di 800 milioni di euro di tasse, 400 milioni di royalties e concessioni, 300 di investimenti in ricerca.
I danni al turismo? “Il 50% del gas viene dalle piattaforme che si trovano nell’alto Adriatico; nessuna delle numerose località balneari, a cominciare dalla splendida Ravenna, ha lamentato danni. Anzi, il turismo balneare è cresciuto cosi come sono cresciute le spiagge cui Legambiente conferisce la goletta verde”. La sicurezza? Viene garantita da " un controllo costante e stringente l’Ispra, l’Istituto Nazionale di geofisica, quello di geologia e quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo”.
LO SCONTRO DENTRO IL PD. Fin qui le ragioni di chi vuole difendere gli investimenti nel nostro Paese. Ma in realtà questo referendum nasce da una prova di debolezza del Governo Renzi. L’Italia sembrava orientata a seguire una strategia di politica energetica sostenibile, nel senso di favorire la transizione in atto senza rinunciare agli idrocarburi; Renzi aveva detto di voler percorrere questa strada, esaltato la "cultura del sì" contro quella dei "no" che, come abbamo detto, in Italia blocca tutto, opere e operine; ma poi alla fine in parlamento è spuntato un emendamento che ha segnato il primo passo indietro dell’esecutivo.
Il divieto di perforazione oltre le 12 miglia, mutuato da una vecchia decisione presa dall’allora ministro Prestigiacomo sull’onda della commozione internazionale per l’incidente di Macondo nel Golfo del Messico. L’Adriatico però non è l’oceano Atlantico, né per pressione né per profondità, insomma è davvero poco probabile che da noi si ripeta un Macondo 2. Eppure il vincolo delle 12 miglia è riapparso magicamente e adesso, se il referendum passasse, rinunceremmo anche alle trivellazioni già in essere, non oltre, ma entro le 12 miglia.
La strategia di Renzi potrebbe essere quella del giunco, abbassarsi aspettando che passi la tempesta notriv, sperando che il referendum si riveli una bolla di sapone, per poi riportare pienamente sotto il controllo dello Stato le competenze in materia energetica con l’altra consultazione popolare, quella sulle riforme costituzionali. Anche per le trivelle infatti, come per tanti altri aspetti del Titolo V, assistiamo puntualmente a una serie di conflitti tra governo centrale ed enti locali, con l’unico risultato – assieme a una burocrazia asfissiante – di far scappare gli investitori, per esempio dal Sud, com’è accaduto di recente con Shell e altre aziende di medie dimensioni. Ma non c’è solo questo.
Il referendum del 17 Aprile è destinato ad acquistare un peso politico non di secondo piano nell’equilibrio delle forze dentro il Partito Democratico: alcune delle Regioni che hanno promosso il referendum, come la Puglia di Michele Emiliano, sono guidate da governatori dem che si stanno facendo spazio come alternativa possibile al renzismo. Le lotte di potere interne al Pd, dunque, s’intersecano ancora una volta e malamente con il destino economico dell’Italia, non è chiaro quale sia il modello di sviluppo economico che vogliamo seguire, e in particolare proprio in quelle Regioni del Sud convinte di poter andare avanti solo con il turismo, la pizza e il mandolino.
Siccome Renzi fino adesso ha giocato male la partita, vedi appunto l’emendamento sulle 12 miglia, il referendum potrebbe rivelarsi una brutta scivolata per il premier e segretario piddino.
REALISMO E SVILUPPO SOSTENIBILE. Detto ciò, c’è solo un modo per convincere i cittadini che la strada verso un vero sviluppo fondato sul mix energetico, come avviene in tutti gli altri grandi paesi occidentali, non passa dall’utopismo ambientalista ma dal realismo sostenibile. Occorre far capire agli italiani che se ogni giorno si lavano, si riscaldano, cucinano, si spostano e vanno a lavoro, lo devono ancora e in buona misura al petrolio e al gas, e dunque pure alle ‘famigerate’ trivelle.