Per piacere, non confondiamo i desaparecidos argentini con Carlo Giuliani
26 Ottobre 2007
Le madri di Plaza de
Mayo sono state ricevute a Genova con gli onori riservati ai capi di Stato. Avremmo
visto in questa accoglienza un doveroso omaggio ad anziane signore tanto
provate dal dolore e dall’angoscia per i figli desaparecidos se non fosse stato per un gesto simbolico che ha rovinato
tutto. Le madri, infatti, sicuramente per ignoranza delle vicende politiche
italiane, hanno commesso un errore madornale rendendo omaggio, a Piazza
Alimonda, al “sacrificio” di Carlo Giuliani, il no global in passamontagna, ucciso mentre cercava di scaraventare
un estintore contro la camionetta guidata dall’agente Placanica. E non solo
hanno deposto fiori sul luogo dell’ “assassinio politico” (sic!) ma hanno
chiesto al governo italiano di far chiarezza sull’oscuro episodio. Nessuno ha
spiegato loro che in una democrazia liberale che si rispetti – e la nostra
forma di governo, nonostante tutto, rientra nella categoria – non è il ministero
in carica a dover “fare chiarezza” sulla morte di un cittadino ma la
magistratura ordinaria, che, nella fattispecie, ha svolto una regolare
inchiesta e ha tratto conclusioni che rappresentano, al momento e fino a
ulteriori prove contrarie, la “verità giudiziaria” – l’unica concessa al povero
genere umano, intagliato, come insegnava Kant, nel “legno storto”. Investire il
Presidente del Consiglio della faccenda significa insinuare che le conclusioni
dei giudici liguri si riferiscono soltanto alla parte emergente dell’iceberg,
che ci sono stati ordini e disposizioni alla polizia nascosti ai tribunali, che
Carlo Giuliani fu vittima di un complotto orchestrato in alto, molto in alto – chissà,
forse, a Washington e dalla CIA seriamente preoccupate della minaccia alla “sicurezza
collettiva” rappresentata dal contestatore genovese.
Ma mettendo da parte l’assurdità
della ”indignata protesta” sottesa ai fiori deposti sul luogo della disgrazia,
le madri argentine hanno reso un pessimo servizio soprattutto alla democrazia
del loro paese. Esse hanno indotto l’uomo della strada a pensare che l’opposizione
dei loro figli al governo autoritario e poliziesco dei generali di Buenos Aires
sia da assimilare, sostanzialmente, a quella dei no global italiani ed europei, annullando, in tal modo, la
differenza abissale che corre tra quanti combattevano generosamente un governo
arbitrario, che aveva sospeso le più elementari libertà civili e costituzionali
e quanti, accecati dall’ideologia anticapitalista e terzomondista, si credevano
in diritto di contestare rumorosamente, e in qualche caso con la violenza e il
saccheggio, una riunione di capi di Stato democraticamente eletti dai loro
popoli e riuniti, se non per i begli occhi del genere umano (non lo si può
pretendere da nessun governo), anche per concordare misure concrete per venire
incontro, in qualche modo, alle richieste dei paesi più poveri e indebitati. Se
l’opinione pubblica (e chiamiamola pure ‘moderata’) si fa l’idea che i desparecidos
argentini altro non erano che centinaia di Carlo Giuliani, chi potrà più
toglierle dalla mente che, per converso, i loro presunti ‘persecutori’ non
fossero molto diversi da Berlusconi o da Prodi, leader politici di cui
si può pensare tutto il male possibile ma non che appartengano alla razza dei
Pinochet o dei Ceausescu?
Insomma,
riconosciamolo, s’è trattato di una brutta pagina nella storia del “dialogo tra
i popoli”. Una pagina che si può dimenticare solo ricorrendo ad attenuanti generiche
– l’età avanzata, la mancata elaborazione del lutto per la perdita di figli e
fratelli etc. – che gettano un’ambigua luce di compatimento su donne provate
dalla vita e meritevoli non dell’umana pietas ma della solidarietà degli
uomini ‘liberi e forti’ capaci di avvertire la soppressione della libertà
altrui come un oltraggio fatto a se stessi.
L’episodio in questione
è qualcosa di peggio di un colossale equivoco giacché porta allo scoperto
l’ennesimo tentativo di appropriazione truffaldina dell’antifascismo da parte
della sinistra radicale. Gli uomini e i partiti che rimpiangono il comunismo
(tant’è che vogliono rifondarlo); che esaltano le sue ultime, infelici,
espressioni caraibiche; che vanno in sollucchero per leader populisti
come Chavez o Lula; che, sulla Piazza Rossa, celebrano la Rivoluzione d’ottobre
con quanto rimane in Russia dell’apparato bolscevico; che sul ‘Manifesto’ hanno
criticato le degenerazioni burocratiche sovietiche in nome di forme e di prassi
dittatoriali assai più spietate – Mao Tse Tung, Pol Pot – sono diventati i
guardiani più intransigenti dell’antifascismo, dovunque esso si annidi nel vasto
mondo. Al ruolo usurpato, fa riscontro l’ovvio rifiuto di circoscrivere
adeguatamente il fenomeno che, a loro avviso, esprime il male radicale, né
potrebbe essere diversamente. Se il fascismo si identificasse con la dittatura
e la violenza, sarebbero fascisti tutti i regimi che si richiamano,
direttamente o indirettamente,al comunismo; se si identificasse con la mera
economia di mercato, si dovrebbero combattere con le armi tutte le democrazie
liberali, inconcepibili senza il mercato; se, infine,il fascismo fosse
semplicemente il connubio di dittatura e di regime economico fondato sulla
proprietà privata dovrebbero essere inclusi nell’idealtipo tutti i governi
populistici, antiamericani e antioccidentali, che non concedono ai sudditi
neppure l’ombra della libertà politica ma non pertanto sono disposti a
collettivizzare i mezzi di produzione e guastarsi con i potentati economici e
finanziari nazionali.
In verità, per i Bertinotti, per i Diliberto,
per i Giordano vale quanto diceva il più stretto collaboratore del Fuehrer “sono
io che stabilisco chi è ebreo”; del pari, sono loro a stabilire chi è “fascista”.
Ad esempio, sono fascisti i generali argentini, pur se implacabili nemici
dell’unico partito sudamericano, che in qualche modo si avvicinava al fascismo
italiano, quello peronista (v. gli studi di Gino Germani e di Ludovico
Garruccio); sono fascisti gli Stati Uniti, simbolo costante dell’imperialismo
aggressivo e distruttivo delle culture dei popoli non assimilabili; è fascista
Silvio Berlusconi, nuova reincarnazione massmediatica del duce etc. etc. E,
simmetricamente, diventano antifascisti sia i desaparecidos sia i Carli
Giuliani, sia i promotori della ‘cosa rossa’ sia quanti vorrebbero cancellare
la legge Biagi e ridar potere di veto all’ala dura dei sindacati operai.
Non stupisce, pertanto, che rifondazionisti e
neocomunisti abbiano fatto gli onori di casa alle madri di Plaza de Mayo. Alle
anziane argentine avranno raccontato di aver fatto le stesse battaglie dei loro
sfortunati congiunti, di aver affrontato gli stessi pericoli, di aver sopportato
gli stessi disagi. Il governo della Casa delle Libertà, lo ricordiamo tutti del
resto, aveva costretto gli avversari alla clandestinità, aveva espropriato le
loro case e le loro proprietà, aveva ricattato e violentato mogli, figlie e
sorelle, aveva infierito, con la prigione e la tortura, contro i malcapitati
finiti nelle mani della polizia segreta. Solo la riconquista della democrazia a
Buenos Aires e il governo di centro – sinistra a Roma hanno consentito ai
dissidenti. rimasti in vita, di uscire dalle catacombe e di celebrare
degnamente i propri morti: le vittime di Buenos Aires, l’eroe sacrificale di
Piazza Alimonda.
Che, nella storia, le
tragedie si tramutino talora in farse, lo sapevamo, anche se non ce l’avesse
detto Karl Marx, sennonché, grazie alle madri argentine e ai loro mentori,
nostalgici di Lenin, abbiamo assistito a uno spettacolo fin qui inedito: quello
delle stesse protagoniste della tragedia (di ieri) che si ripresentano alla
ribalta politica come protagoniste della farsa (di oggi)! E’ stato come vedere
un attore di prosa esibirsi, nel primo tempo, nella parte di Edipo e, nel
secondo, in quella di Felice Sciosciammocca. Solo che, nel caso delle madri,
non erano delle maschere a passare da un copione all’altro ma persone reali il
cui dolore si è lasciato strumentalizzare biecamente dai soliti pasdaran dell’antioccidentalismo.